POLITICA E MAGISTRATURA SULLO SFONDO DELLE RIFORME
di Giuseppe Cioffi* – All’avvio di un nuovo assetto governativo e dopo una riforma dell’ordinamento giudiziario impostata e portata a compimento in tempi diversi da governi alternatisi alla guida del Paese, le attuali idee di cambiamento in corso di esame parlamentare danno adito ad immancabili occasioni di contrasti tra la parte politica che rappresenta la maggioranza ed esprime l’esecutivo e la magistratura associata, ovvero quella porzione di magistratura particolarmente ispirata a moralismo ideologico, c’è da chiedersi quale e quanta attenzione verrà riservata al vero problema, che è quello del rapporto tra cittadino e apparato giudiziario. Nel momento attuale e dopo rinnovati moniti in tempi diversi da parte della più alta carica dello stato a confrontarsi in modo dialogante e rispettoso delle prerogative degli organi costituzionali, sembra, ancora una volta, che la magistratura dimentichi la vera emergenza che affligge il mondo giudiziario, ormai da anni, e che realmente rappresenta un pericolo per la democrazia , atteso che l’accesso ad una tutela giudiziale effettiva è un servizio non solo necessario, ma fondamentale per la vita dei cittadini, sotto diversi punti di vista. Infatti, se incidere sull’assetto dell’organo giudiziario è stato considerato importante e primario, ritengo che, oggi, ancora più fortemente, debba essere avvertita l’esigenza di collegare l’ordine giudiziario, così come riformato, alle aspettative che la collettività nutre verso l’organizzazione del servizio giudiziario e cioè l’efficienza e la celerità. Infatti, benché l’esigenza di accelerare la durata dei processi sia continuamente oggetto di discussione, ed è particolarmente attenzionata dall’attuale Guardasigilli, è doveroso tenere a mente come le lungaggini dei meccanismi processuali non riguardano solamente un problema di consenso ideologico, ma incidono direttamente sull’andamento dell’economia. Soprattutto in tempi di congiunture economiche non favorevoli e di ricorso a piani straordinari di credito europeo (come oggi avviene con il PNRR), le lentezze processuali rappresentano inevitabilmente un fattore di ulteriore rallentamento delle dinamiche economiche e produttive, che incide sfavorevolmente nel settore dell’impresa così come del lavoro dipendente, del commercio e degli scambi internazionali, generando sfiducia negli investitori esteri. Per personale esperienza, oltre quella maturata sia in ambito associativo che extra giudiziario, mi sento di invitare a considerare che, nonostante gli sforzi di accelerazione profusi dai colleghi delle indagini preliminari, e i successi conseguiti grazie alla dedizione e capacità di inquirenti e Giudici, sono numerose, e di sistema, le lungaggini del settore penale che, spesso, vanificano ogni effetto positivo faticosamente guadagnato nelle battute iniziali, tanto da rendere ancora oggi il processo la vera e unica sanzione effettiva. Perciò, seppur in un’ottica di attento bilanciamento con i principi costituzionali e con attenzione anche alle esperienze internazionali di diritto comparato, non vanno trascurate, prime fra tutte, la proposta di rendere esecutiva la sentenza di primo grado e di procedere alla demolizione del totem della obbligatorietà dell’azione penale, passando necessariamente per la separazione delle carriere tra organo giudicante e inquirente. Si tratta di questioni da affrontare con serietà e urgenza perché potrebbero rappresentare un modo efficace per avviare a soluzione il dramma dell’eccessiva durata delle attività processuali. Su questi temi, tuttavia, è auspicabile un dibattito e confronto sereno tra la parte politica, attualmente alla guida del paese, e la parte tecnica qualificata, rappresentata dalla magistratura, dall’avvocatura e dall’accademia ed è necessario escludere riserve di matrice ideologica e pregiudizi dettati da ansia moralista, atteso che, di fronte alla gravità del problema, vanno tenuti in primaria considerazione gli interessi dei consociati. In questa prospettiva è necessario puntare anche ad adeguare le regole organizzative ad una concezione di stampo sostanzialistico, meglio consona e rispondente a visioni comunitarie, con un graduale abbandono della concezione formalistica, tanto cara alla nostra tradizione giuridica, ma in tempi attuali responsabile di dilatazione temporale non più sostenibile. Allora, la levata di scudi della magistratura associata, mai come in questi tempi schierata verso provvedimenti governativi o iniziative politiche della maggioranza, e gli allarmi verso presunti attentati alla democrazia sono ancora fuori dalle logiche di rispetto degli interessi dei cittadini, perché ispirate a visioni formalistiche e ideologiche, e vanno sostanzialmente nella direzione opposta, rispetto a quella auspicata, di un dialogo costruttivo sui temi urgenti dei veri problemi della giustizia. Un simile atteggiamento genera danni nell’ambito del sistema dei rapporti sociali, come nel mondo produttivo del paese, sia in prospettiva microeconomica che macroeconomica, e concorre a quella condizione di stagnazione in cui versa attualmente la nostra nazione, in un sistema fermo e arretrato rispetto agli altri partner europei. Alla magistratura, pertanto, nel rispetto delle sue competenze, poteri e posizioni istituzionali, va chiesto di concorrere con gli altri, più autenticamente tali, poteri dello stato alla soluzione degli urgenti problemi dell’organizzazione giudiziaria, di cui si è dato conto e che affliggono più direttamente la società e il mondo economico e che, ormai, da troppi anni attendono di essere affrontati seriamente e con soluzioni efficaci. *Magistrato Tribunale di Napoli Nord – già Presidente ANM sottosezione Napoli Nord
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