IL MERITO PROCESSUALE, TRA ACCUSATORIO ED INQUISITORIO
di Antonio Baudi Dopo essermi intrattenuto nei due precedenti scritti su merito cautelare e merito preliminare dovrei ora completare l’impegno in tema di merito processuale, tema coinvolgente l’inquisitorietà (come esemplarmente nel giudizio abbreviato che implica rinuncia al dibattimento e al contraddittorio quale metodo acquisitivo della prova di matrice accusatoria) e l’accusatorietà (operante per l’appunto nei giudizi dibattimentali). Nella loro essenza risalta il rigoroso divergere tra i due opposti sistemi, l’uno che privilegia il monodico potere del giudice, quale depositario della verità, nonché il ricorso all’applicazione di misure cautelari, l’altro che privilegia la verità come obiettivo finale risultato del contraddittorio tra i soggetti principali del processo e che esclude compromissioni preprocessuali di libertà personale. Tale rigore è smentito dal sistema vigente, che si vuole a procedura mista, e dagli stessi principi della carta costituzionale come sanciti con gli artt. 13 e il 27. Il primo disposto, di cui all’art. 13, evoca l’inquisitorietà. Esso esordisce proclamando che “la libertà personale è inviolabile”. Precisa quindi che “non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e casi e modi previsti dalla legge”. Però “in casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto”, fermo restando che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”. Persiste con l’enunciato dell’ultimo comma, una terminologia antisistema: “La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva”. Il secondo disposto, di cui all’art. 27, dispone che “La responsabilità è personale” ed esalta la presunzione di innocenza quando detta che “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Nel rispetto della dignità personale “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ulteriori notazioni sono emerse dall’esperienza ed è su queste che intendo soffermarmi. In sede di riunione indetta dal CSM tra tutti i dirigenti delle sezioni dei giudici per le indagini preliminari (in breve “i capi Gip”) sono state conosciute, me presente, realtà sorprendenti. In un ufficio del Nord si era formata la prassi per cui in sede dibattimentale la pena non era mai inflitta al di sotto della media edittale e, in tal modo, era scongiurato l’accesso al giudizio dibattimentale risultando oltremodo favorito il giudizio abbreviato, ove, in caso di condanna, la pena, muovendo dalla base minimale, era premialmente ridotta di un terzo. Quell’ufficio era elogiato per la sua straordinaria efficienza. In altro grande ufficio, sempre del Nord, l’inoltro nella cancelleria dibattimentale monocratica dei fascicoli del PM avveniva con due giorni di anticipo rispetto alla data di udienza per problemi organizzativi. Ne conseguiva che il giudice era inevitabilmente indotto a consultare entrambi i fascicoli e quindi aveva una totale conoscenza degli atti, il che gli consentiva di spadroneggiare nel processo in funzione di una decisione ormai formata come nel passato. Difatti quel giudice era in grado di definire tutti i processi calendarizzati in udienza. Tutto questo ho constatato di persona essendo parte civile nell’ultimo processo da definire. Numeri statistici alla mano anche tale ufficio era elogiato per la sua efficienza! In entrambi i casi la logica del sistema del codice e della riforma era brillantemente aggirato in funzione dell’efficienza e della giustizia in concreto. Quando, nel prosieguo delle audizioni, si ascoltarono altri presidenti, del centro sud, emergeva una opposta realtà e le statistiche denunciavano il ritardo nei giudizi e l’anomalo accumularsi dell’arretrato. Occorre in proposito rammentare che Il nuovo codice è stato approvato all’unanimità e nei commenti dell’epoca si precisava che in tanto il sistema avrebbe funzionato in quanto era vantaggioso optare per il giudizio abbreviato e ridurre al minimo i giudizi accusatori. Sarebbero state necessarie, a mio avviso, due concorrenti evenienze; che i giudizi del merito preliminare bloccassero accuse prive di prognosi di fondatezza nel merito e che i difensori convincessero gli assistiti sui vantaggi della premialità. Ed invece i controlli preliminari si sono, anche con il diffuso favore dottrinario, risolti in un comodo ed irriflessivo rinvio a giudizio e nell’eccessivo sovraccarico era una meta allungare i tempi ed agevolare la maturazione della prescrizione. Sul rapporto tra Giustizia ideale e Giustizia reale, o meglio sui metodi per l’efficienza del sistema, in concreto ormai fallimentare, è bene evitare qualsiasi ulteriore commento.
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