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INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO 2025 NEL DISTRETTO DI CORTE DI APPELLO DI CATANZARO

di Francesco Iacopino* –  Signor Presidente della Corte di Appello, Signor Procuratore Generale, Autorità tutte, il tempo a disposizione mi consente di sviluppare solo due argomenti: maxi processi e separazione delle carriere.   Il primo. Il 2024 ha consegnato alla giurisdizione la cronicizzazione dei problemi denunciati da anni, in solitudine, dall’Avvocatura. Il gigantismo processuale, complice l’allagamento a Lamezia della cattedrale nel deserto, esporrà centinaia di persone a una estenuante trasferta a Catania. La delocalizzazione del processo a 400 chilometri di distanza immola definitivamente libertà e garanzie dei cittadini sull’altare della difesa sociale. Con l’esodo in Sicilia si celebra il de profundis del diritto di difesa. I processi di massa, lo sappiamo bene, rappresentano la più alta espressione del diritto penale simbolico, con tutto ciò che deriva in termini di ribaltamento assiologico del quadro costituzionale (in primis il principio della presunzione di innocenza). Questo modo di procedere non ci ha resi più sicuri, ma solo meno liberi. Il prezzo pagato in termini di danni collaterali è altissimo. E riguarda la distruzione di vite, famiglie, affetti, aziende, tutti risucchiati nella rete sempre più capiente della pesca a strascico. Tutti macellati nel tritacarne mediatico giudiziario. A questo grido di dolore noi continueremo a dare voce, senza stancarci. Per dire basta alle indagini di massa, ai pregiudizi accusatori, alle restrizioni sommarie della libertà, agli effetti tossici prodotti dalla logica della perenne emergenza e dal diritto penale del nemico. Bisogna tornare a celebrare i processi nei Tribunali, con numeri “sostenibili”. E chiedere alla politica di dotare i territori di organici adeguati per amministrare giustizia. Cari Magistrati, con la Costituzione in mano dovreste ribellarvi per le condizioni inagibilità nelle quali vi si chiede di operare o per i suicidi in carcere, piuttosto che opporvi a una riforma costituzionale che ha il merito, indiscusso, di rafforzare il modello accusatorio, la presunzione di innocenza e il giusto processo, riposizionando al centro della Giurisdizione, come dovrebbe essere, il Giudice.   Il secondo. Separazione delle carriere. La posizione assunta da ANM è semplicemente infondata: NON È VERO che la riforma stravolgerà l’equilibrio tra i poteri dello Stato, NON È VERO che sottrarrà spazi di indipendenza alla giurisdizione, NON È VERO che ridurrà le garanzie e i diritti di libertà per i cittadini, NON È VERO che determinerà l’isolamento del pubblico ministero e il rischio di un suo assoggettamento all’esecutivo. È VERO l’esatto contrario, come vedremo da qui a poco. 1)- Le carriere unificate sono tipiche dei sistemi inquisitori; tutte le democrazie occidentali adottano modelli ordinamentali a carriere separate (eccetto Turchia e Bulgaria: vorrà dire qualcosa?). 2)- La separazione delle carriere realizza il giusto processo e rafforza le garanzie e i diritti di libertà per i cittadini, nel rispetto della Costituzione, che esige un Giudice terzo e imparziale davanti a parti poste in condizioni di parità. Nel giusto processo triadico – lo ricordava Giuliano Vassalli – la separazione funzionale, imposta dal modello accusatorio, e quella ordinamentale delle carriere sono vasi comunicanti: la prima non può essere effettiva senza la seconda. Lo aveva ben compreso Giovanni Falcone quando scrisse che il P.M. non deve avere nessuna parentela  con  il  Giudice.  Per  questa  sua  posizione,  fu  bollato  come  nemico dell’indipendenza della Magistratura. Più o meno le accuse che ci vengono rivolte oggi. La terzietà e l’imparzialità non garantiscono l’adozione di sentenze “giuste”: ne costituiscono uno dei presupposti. 3)- L’art.104 (nel testo della riforma) non toccherà affatto l’autonomia e l’indipendenza del P.M., che continuerà ad accedere alla professione per concorso, progredirà in carriera con le stesse regole di oggi e sarà garantito dalle norme sull’ordinamento giudiziario, dal suo CSM e da un Giudice disciplinare autonomo (l’Alta Corte, formata per 3/5 da magistrati). Una riforma “chirurgica”, allora, disegnata nel pieno rispetto dell’architettura costituzionale e del principio della separazione dei poteri. 4)- Cultura della giurisdizione. È fin troppo agevole osservare come, a carriere unificate, non è stato il Giudice ad aver attirato il P.M. nella sua sfera culturale, ma è accaduto il contrario. Nella prassi quotidiana le parti non sono poste in condizioni di parità. E nella percezione sociale non conta il Giudice, ma il P.M., non la sentenza, ma l’arresto. Non è la sentenza a stabilire il risultato di giustizia agli occhi del cittadino. Anzi, la sentenza, se di assoluzione o ritenuta non esemplare nella pena, è percepita come denegata giustizia. Cari Giudici, con la Costituzione in mano dovreste essere i primi a salutare con favore questa riforma, che punta a un recupero culturale, innanzitutto. Ammettere con coraggio, al pari dei vostri Colleghi che hanno avuto la forza di esporsi, che questa riforma è una conquista per la nostra democrazia e che, in realtà, l’agitazione associativa è solo frutto della paura di perdere assetti di potere finora consolidati dalla logica delle correnti. Altro che il timore del P.M. Super Poliziotto. Per chi non se ne fosse accorto, Super Poliziotto il P.M., oggi, lo diventato è già.   Concludo. Il progetto di riforma costituzionale si ispira al modello ordinamentale portoghese, adottato nel 1978, all’indomani della rivoluzione dei garofani. In quel paese, dopo 50 anni, nessuno tornerebbe indietro, essendo tutti d’accordo che “la separazione delle carriere è stata una conquista fondamentale della democrazia e ha avuto pieno successo nella pratica”. Non lo dico io, ma Paulo Pinto di Albuquerque, giurista portoghese di fama mondiale, che ha definito, la nostra, una riforma eccellente, che rafforzerà il modello accusatorio, la presunzione di innocenza e il giusto processo. Cari Magistrati, se vogliamo onorare insieme la Costituzione e attuarla, portarla a compimento, dobbiamo recuperare culturalmente e socialmente la grammatica del giusto processo, ritrovarci intorno al quadro assiologico disegnato dai costituenti, rafforzare il modello accusatorio e la presunzione di innocenza. La storia giudicherà questa battaglia e gli schieramenti in campo. Auguro a voi, e a noi, che anche in Italia tra qualche anno si possa riconoscere, come in Portogallo, che la separazione delle carriere è stata una conquista fondamentale della democrazia. Significherà che avremo contribuito, insieme, al progresso della civiltà del nostro paese. Buon anno giudiziario a tutti. * Presidente della

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Congresso Straordinario UCPI. Reggio Calabria, 4-6 ottobre 2024.

La delegazione e le riflessioni della Camera penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora”. Gli ultimi otto anni, in Calabria e in particolare nel distretto di Corte di appello di Catanzaro, sono stati molto difficili a motivo delle forti spinte sulle esigenze di difesa sociale, con inevitabile sofferenza dei diritti e delle garanzie individuali. In questo tempo, politicamente e professionalmente così duro e impegnativo, l’Ucpi non ci ha mai lasciato soli. Ne è una significativa conferma lo svolgimento nella nostra regione, in meno di tre anni, di due tra i più importanti eventi nazionali – a Catanzaro, prima, e a Reggio Calabria, poi, in questo appassionante week end che si avvia alla conclusione. Al congresso straordinario abbiamo affrontato anche i nostri problemi, le difficoltà che incontra ancora oggi il distretto di Catanzaro. Due i temi agitati: 1)- la cronica carenza di organico nelle fila della magistratura giudicante che, nonostante i generosi sforzi di tutti, non consente di raggiungere un livello accettabile di amministrazione della giustizia; 2)- il gigantismo processuale, evitabile, e tuttavia alimentato dal ricorso sistematico ai maxi processi con numeri sempre più ingestibili di imputati da giudicare. Quando pochi, pochissimi giudici devono decidere sulla libertà di centinaia di persone in poco tempo, il margine di errore è destinato inevitabilmente ad impennarsi, come ci restituisce la triste contabilità delle ingiuste detenzioni che si consumano alle nostre latitudini. Su questi temi, con gli amici del Coordinamento delle Camere penali calabresi abbiamo licenziato una astensione storica dalle udienze, per 11 settimane, a staffetta, su tutto il territorio regionale. Su questi temi continueremo a impegnarci, non essendo disposti ad accettare passivamente lo stato delle cose. Chiediamo alla politica un’assunzione di responsabilità, consapevoli che non si può garantire giustizia con gli slogan e a costo zero, senza risorse, uomini e mezzi. Chiediamo alla giurisdizione l’avvio di una seria e franca riflessione interna, nella convinzione che alcune criticità possiamo e dobbiamo arginarle costruttivamente insieme, certi – come siamo – che a tutti stia a cuore il miglioramento della qualità della risposta alla domanda di giustizia che proviene dal territorio. Un miglioramento che, ci teniamo a ribadirlo, è direttamente proporzionale alla effettiva tutela dei diritti e delle garanzie e in definitiva alla difesa, comune e condivisa, dei valori costituzionali e non negoziabili sui quali è edificato il diritto penale liberale e il giusto processo.

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ASTENSIONE DAI PROCESSI SETTIMANA DI CATANZARO

Poche risorse e abuso dei maxi processi, penalisti in protesta in Calabria. La mobilitazione delle Camere penali per denunciare la grave crisi della giustizia nella regione: l’insufficienza di giudici e risorse sta causando rinvii dei processi fino al 2026 Leggi le notizie: Catanzaro Informa https://lc.cx/v8A5iG Il dubbio https://lc.cx/S3oybv La Nuova Calabria https://lc.cx/8VEAm8 La News https://lc.cx/GCD05A – https://lc.cx/U8FxvA LaNovitàOnline.it https://lc.cx/xy9l8a – https://lc.cx/NBH0sm Corriere della Calabria https://lc.cx/lTmioq • Delibera Coordinamento Camere Penali Calabresi • Delibera Camera penale di Catanzaro

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Laboratorio di pasticceria presso la casa circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro

La Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora” sostiene il progetto avviato dalla società cooperativa Mani in Libertà, con la partnership della Direzione della Casa Circondariale di Catanzaro, del locale Ufficio Esecuzione Penale Esterna, di Promidea e delle associazioni Liberamente ed Amici con il cuore che hanno aderito ad un bando indetto da Fondazione con il Sud, teso alla formazione professionale e all’assunzione dei detenuti. L’iniziativa ha determinato nel corso del 2020 l’avvio di un laboratorio artigianale di pasticceria, che utilizza il marchio Dolci(C)reati”, si è subito distinto per la bontà dei prodotti dolciari, preparati attribuendo prevalenza alla qualità delle materie prime e alla professionalità dei pasticcieri, rappresentando per gli interessati una straordinaria forma di riscatto e di recupero sociale anche attraverso il reinserimento nel mondo del lavoro. Sebbene si tratti di una piccola realtà, il laboratorio attivo all’interno della Casa Circondariale ha le potenzialità per affermarsi come una pasticceria di eccellenza meritoria di sostegno e solidarietà. Queste le ragioni che hanno determinato la Camera penale territoriale, da sempre sensibile al tema del recupero e del reinserimento sociale dei detenuti, ad avviare interlocuzioni con l’imprenditoria, le associazioni, gli enti pubblici, quelli privati, la scuola, i professionisti e la comunità, per favorire la diffusione della produzione, la conoscenza del progetto, il suo sostegno e più in generale per sensibilizzare verso i temi del recupero sociale dei cittadini condannati. In occasione del Natale abbiamo significativamente contribuito alla vendita dei panettoni riscontrando un’importante risposta dei soggetti coinvolti, rendendo così possibile la stabilizzazione del rapporto di lavoro di uno dei pasticcieri. Il nostro impegno rimane immutato e crediamo di poter conseguire altri traguardi anche grazie alla generosità, all’interesse ed al sostegno dimostrato da alcuni imprenditori della città per un progetto che, al pari di altri sul territorio nazionale, consolida l’idea dell’attuazione della risocializzazione dei cittadini condannati attraverso la formazione professionale ed il reinserimento nel mondo del lavoro. Catanzaro 25.3.2024 Responsabili dell’Osservatorio carcere ed esecuzione penale Avv. Pietro Mancuso Avv. Vincenzo Galeota Il Presidente Del Consiglio Direttivo Avv. Francesco  Iacopino   RASSEGNA STAMPA https://shorturl.at/lquWZ https://shorturl.at/wIVZ1  

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Ascolto e dialogo, filo e ago per intrecciare un incontro

Nell’aula Magna del liceo classico P. Galluppi di Catanzaro – luogo che testimonia e racconta una cultura dell’incontro e dell’amicizia – si sono dati appuntamento tantissimi giovani studenti per ascoltare e per essere ascoltati. I protagonisti di questa conversazione, Rossella Loprete, assistente sociale, Sergio Caruso, criminologo, Gennaro Del Prete, assistente sociale, Antonella Canino, consigliera del direttivo della Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora”. I temi trattati – devianza minorile e criminalità organizzata, disfunzione genitoriale e impegno sociale – hanno evidenziato come la famiglia e il contesto socio-culturale incidono nel processo evolutivo del minore, nei contesti di criminalità organizzata. Questa incisività è devastante perché i modelli educativi sono autoritari e orientano il minore all’obbedienza. Le conseguenze si possono dedurre: un minore educato all’omertà e alla vendetta. Suggestivo, l’incappo con il dott. Gennaro Del Prete. Il suo libro “ Dal Dolore L’Impegno Sociale”, testimonianza che si è sagomata su frammenti di vita vissuta, è un racconto con caratura sociologica. La morte del padre, Federico Del Prete, sindacalista ucciso perché si era ribellato ai tanti soprusi della camorra, diventa dolore che si trasforma in passione e che diventa impegno di aiuto per i giovani in difficoltà. Una giornata straordinaria nell’aula magna del liceo classico P. Galluppi, una giornata di studio proposta e voluta dal Prof. Gianluca Scalise, referente per la legalità dello stesso liceo e organizzata dalla Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora” e dall’osservatorio Miur rappresentato dall’Avv. Amedeo Bianco, in collaborazione con la dottoressa Rossella Loprete. Moderatore del convegno l’avv. Leo Pallone, direttore della rivista “Ante Litteram” della Camera Penale di Catanzaro.

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QUEI RICORDI CONDIZIONATI DALLA RICERCA DI UNA “VERITÀ” A OGNI COSTO SONO IL VERO MALE

  di Glauco Giostra   Era innocente. Beniamino Zuncheddu ha scontato più di 32 anni di dura detenzione perché ritenuto colpevole dell’uccisione di tre pastori e del ferimento di un quarto. All’epoca, il pastore superstite, dopo aver inizialmente negato la possibilità di individuare l’aggressore in quanto questi aveva il volto coperto da una calza, sollecitato più volte a riconoscere in Beniamino Zuncheddu l’omicida, sia mostrandogli una sua foto, sia precisando che aveva un movente e nessun alibi, se ne convinse («io mi convinsi») e puntò l’indice accusatore contro di lui in ogni grado del processo, che si concluse con la condanna all’ergastolo dell’imputato. Nell’odierno giudizio di revisione il testimone d’accusa, ritrattando la sua deposizione alla luce delle nuove emergenze, ha pronunciato una frase che dovrebbe far riflettere: «per tutto il processo ero convinto che a sparare fosse stato Zuncheddu (…). Se dovessi tornare indietro probabilmente farei lo stesso errore». Per quanto dolorosamente clamorosa, non si richiama questa notizia per gridare allo scandalo di un grave errore giudiziario: dobbiamo rassegnarci alla fallibilità della giustizia amministrata da uomini. E neppure si intende dedurre da questa angosciante vicenda che sarebbe bene diffidare sempre delle sentenze dei tribunali: ogni altro modo di rendere giustizia è meno credibile. Prendendo doverosamente atto che non è nelle nostre possibilità conoscere la verità, o meglio avere la certezza di averla conseguita, quello che possiamo, e che quindi dobbiamo fare, è predisporre l’itinerario cognitivo ritenuto più affidabile, nelle condizioni e conoscenze date, per approssimarci alla verità e pretendere che un soggetto terzo, il giudice, si attenga ad esso per rendere giustizia. La sentenza emessa al termine della procedura prescritta, dice un brocardo latino pro veritate habetur, deve, cioè, essere recepita come verità dal popolo nel cui nome è stata emessa (salvo che il sopravvenire di prove non dimostri, come in questo caso, che è stato condannato un innocente). Questo significa dover accettare che vi può essere una sentenza pienamente valida e corretta, ma orfana di verità. Dobbiamo sapere che non possiamo evitarlo; è la dolorosa conseguenza della nostra necessità di giudicare senza avere strumenti in grado di assicurarci la verità. Quello che però possiamo, e quindi dobbiamo garantire è di aver dato fondo a tutte le nostre modeste risorse per apprestare un metodo in grado di ridurre al minimo il rischio dell’errore. E invece dolorosissime vicende giudiziarie come queste stanno a ricordarci che ancora possiamo e, quindi, dobbiamo, migliorare. Il vigente codice di procedura penale aveva ovviato ad una ingenuità del codice Rocco: si riteneva che fosse irrilevante la tecnica di acquisizione dei “reperti cognitivi” che il fatto storico, come un mosaico frantumato, lascia nella realtà fisica e nella percezione sensoriale umana. Si pensava che più tessere del mosaico venivano comunque recuperate, più attendibile sarebbe stato il compito del giudice che doveva ricomporlo. Convinzione che sarebbe senz’altro da sottoscrivere se la persona informata sui fatti fosse una res loquens e il suo prodotto narrativo non fosse destinato a cambiare a seconda di chi, come, dove, quando la compulsa. Le scienze della mente, invece, avevano dimostrato che la rievocazione del ricordo viene sensibilmente influenzata dalla tecnica maieutica con cui lo si “estrae”: con il mutare del forcipe muta, talvolta anche in modo radicale, la conformazione del feto della memoria. Si convenne allora – e ancor oggi nessuna evidenza scientifica induce a riconsiderare quella scelta – che la migliore levatrice del ricordo fosse la formazione dialettica della prova testimoniale: ciò che viene unilateralmente raccolto dall’inquirente pubblico o privato per mettere a punto la linea accusatoria o difensiva è materiale conoscitivo inaffidabile. Ad avere pieno valore probatorio, di regola, è soltanto ciò che il teste, incalzato dalle domande delle parti, riferisce al giudice. Se il Codice vigente ha rimosso l’ingenuità epistemologica su cui poggiava quello precedente, temo che esso stesso poggi su un presupposto non meno fallace: l’inossidabilità del ricordo; cioè l’inalterabilità del patrimonio mnestico. L’attuale sistema è implicitamente costruito intorno all’idea che sia irrilevante ciò che càpita al testimone tra la sua percezione e quando sarà chiamato a rievocarla nel contraddittorio delle parti dinanzi al giudice della decisione. Ciò presuppone che il ricordo costituisca una sorta di reperto archeologico che giace, inerte, nello scantinato della memoria; che il problema per il testimone sia soltanto quello di ritrovarlo alla luce della potente “torcia” del contraddittorio e di consegnarlo al giudice. Il ricordo, invece, è materia viva, deteriorabile e plasmabile. «La memoria, che è suscettibile e a cui non piace essere colta in fallo – scriveva Josè Saramagotende a riempire le dimenticanze con creazioni di realtà spurie». Un falso ricordo viene sovente indotto da certe ricostruzioni mediatiche o – come nella vicenda Zuncheddu – dalle incalzanti suggestioni di chi è deputato a cercare la verità, ma spesso è sopraffatto dall’urgenza di trovare un colpevole. Ci sono infatti domande che tendono a condizionare la risposta, quando non a suggerirla. Questa subdola suggestione risulterà tanto più condizionante quanto più autorevole sarà la figura dell’interrogante agli occhi dell’interrogato, che successivamente opererà in modo inconsapevole ogni possibile rielaborazione mnestica per cercare di non discostarsi da quanto l’interrogante aveva lasciato intendere fosse la “sua” verità. «Tornando indietro probabilmente farei lo stesso errore», ammette convinto il decisivo teste d’accusa. E ciò spiega come mai anche il miglior metodo di formazione della prova sia risultato imbelle: il contraddittorio è in grado di garantire la sincerità, non la veridicità delle risposte. Nessun esame incrociato sarà in grado di far riferire quanto originariamente percepito a un dichiarante che crede nella verità del suo falso ricordo. Ora che la tecnologia lo consente, bisognerebbe allora almeno prevedere come obbligatoria la videoregistrazione delle dichiarazioni assunte nel corso dell’indagine. È probabile che se ai giudici che hanno emesso la sentenza contro Zuncheddu la difesa avesse potuto mostrare come era stato più volte “interrogato” il principale teste d’accusa, avrebbero usato la dovuta diffidenza verso quella memoria insufflata dall’inquirente e probabilmente avremmo evitato ad un innocente questa dolorosissima, ingiusta esperienza, e a noi l’ascolto di una vicenda che strazia i timpani della nostra coscienza. (Copyright (c)2024 Il

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Dall’emarginazione all’inclusione anche grazie alla bontà dei panettoni prodotti dai detenuti

La Camera penale ha deciso di sostenere il progetto avviato dalla società cooperativa “Mani in Libertà”, con la partnership della  Direzione della Casa Circondariale di Catanzaro, del locale Ufficio Esecuzione Penale Esterna, di Promidea e delle associazioni Liberamente ed Amici con il cuore che hanno aderito a  un bando indetto da Fondazione con il Sud, teso alla formazione  professionale e all’assunzione dei detenuti. Tutto nasce da un sogno. Quello di un detenuto in regime di alta sorveglianza nel carcere “Ugo Caridi” di Catanzaro, con le mani, la mente e il cuore votati per la pasticceria. Gli bastavano un fornellino ed una padella per realizzare dolci straordinari. Nel 2019 arriva la svolta. Un bando di Fondazione Con il Sud, che sembra proprio “cucito” addosso al sogno di questo detenuto  e di altri detenuti raggiunti dal suo entusiasmo: così la direzione della Casa Circondariale decide di coinvolgere l’impresa sociale “Promidea” e l’associazione “Amici con il Cuore”, operativa da anni all’interno del carcere con i laboratori di arte e di riciclo, nella realizzazione di un progetto che prevede l’apertura di una vera e propria pasticceria. Si aggiungono come partner l’Ufficio Interdistrettuale di Esecuzione Penale Esterna e l’associazione “Liberamente”, mentre la Regione Calabria sostiene assieme a Fondazione Con il Sud i corsi di formazione in pasticceria e panificazione per un totale di 600 ore. Ma ci pensa la pandemia a fermare tutto. Il progetto continua. Ed i corsisti diventano tirocinanti La proroga del bando di Fondazione Con il Sud permette di ripartire con il progetto, e di iniziare, nell’aprile del 2021, le prime lezioni di teoria in modalità online. Gli otto detenuti corsisti, dopo aver superato le prove finali nel dicembre 2021, conquistano così l’agognato attestato spendibile su tutto il territorio nazionale e possono cominciare a mettere “le mani in pasta” come tirocinanti. Nel frattempo, grazie al sostegno di Fondazione Con il Sud, e al Provveditorato si lavora alacremente per la ristrutturazione del locale all’interno del carcere da adibire a laboratorio di pasticceria. Il giorno dell’inaugurazione, il 23 febbraio 2023, è una festa per tutti: per la direttrice del carcere, Patrizia Delfino, e tutta la popolazione carceraria; per Antonietta Mannarino, presidente dell’associazione “Amici con il Cuore” capofila del progetto e i vari partner; per i docenti del corso, ma soprattutto per i detenuti che vedono concretizzarsi le loro speranze di riscatto. La cooperativa “Mani in Libertà” per un futuro lavorativo possibile Dal giorno dell’inaugurazione, gli aspiranti pasticceri non hanno mai smesso di sperimentare, inventare e utilizzare in tutti i modi possibili le attrezzature, che arredano il nuovo laboratorio all’interno del carcere, per realizzare torte, semifreddi, gelati, brioche e biscotti su richiesta. Le ordinazioni da parte delle famiglie dei detenuti, ma anche degli agenti di polizia penitenziaria, degli educatori e di quanti lavorano all’interno della struttura, non si fanno attendere, e diventano sempre più numerose man mano che i pasticceri rivelano le loro incredibili doti creative e manuali. Sotto la supervisione della presidente Antonietta Mannarino, si cimentano anche nella realizzazione di dolci tipici calabresi, come la “pitta ‘nchiusa”, e nella rivisitazione del “bigiotto”, il biscotto energetico del camminatore a base di miele, fiori di lavanda ed essenza di mandarino, da distribuire ai pellegrini che ogni estate attraversano in lungo e in largo i boschi e i sentieri, alla scoperta dei luoghi storici e dei paesaggi mozzafiato della regione. Una volta concluso il progetto, per i detenuti si aprono le porte della cooperativa, dal nome benaugurante “Mani in Libertà”, appositamente fondata per far giungere i loro prodotti dolciari al di là delle mura carcerarie e per farli diventare protagonisti del proprio riscatto sociale. Il progetto si conclude, ma la cooperativa continuerà a dare seguito al loro impegno A dicembre il progetto “Dolce Lavoro” si avvia alla sua naturale conclusione, ma intanto l’attività nella pasticceria prosegue senza sosta con la produzione di panettoni artigianali di altissima qualità, in attesa di poter attivare la piattaforma online per effettuare le ordinazioni. La cooperativa, infatti, continuerà sul solco già tracciato dal progetto sostenuto da Fondazione Con il Sud, potendo contare sull’apporto incondizionato dell’istituto di pena e dell’ampia rete di enti e associazioni che sin da subito ha creduto nella bontà dell’idea progettuale. Un progetto forse non originale – non è il primo in Italia – ma che è il primo in Calabria e probabilmente l’unico a livello nazionale ad avere come destinatari detenuti di alta sicurezza e condannati “a fine pena mai”.  Per loro, forse, un futuro di libertà non sarà possibile, ma nulla potrà impedirgli di impegnarsi ogni giorno per qualcosa di utile ed appagante, che li gratifica dal punto di vista economico, ma soprattutto umano.                                                                                                                    Benedetta Garofalo Addetta stampa progetto “Dolce Lavoro” Rassegna Stampa: https://rb.gy/xf16r2 https://rb.gy/9bzx6q https://rb.gy/csjgtf https://rb.gy/cgs8ei

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IL PARADIGMA LIBERALE NEL DIRITTO PENALE POST MODERNO: UN REQUIEM EVITABILE?

Abbiamo trascorso due giorni straordinari per intensità e contenuti. Ciascun relatore ha apportato un contributo di idee e offerto stimoli di riflessione davvero molto alti. E il comune “sentire” sulla necessità di pubblicare gli atti del convegno rappresenta la migliore risposta circa la qualità raggiunta dall’evento. Ne sono molto felice, soprattutto perché di un tema così delicato e complesso, qual è la crisi del paradigma liberale, si è parlato in un distretto problematico come quello calabrese, davanti a una avvocatura penalista che si è fatta carico, politicamente, di affrontare le difficoltà della giurisdizione nel difficile equilibrio – spesso ‘saltato’ – tra le esigenze di difesa sociale e quelle di tutela delle libertà individuali. Un sincero ringraziamento a tutti coloro che hanno reso possibile la riuscita dell’evento e a coloro – e sono stati tanti – che lo hanno impreziosito assicurandone la presenza. Un ringraziamento particolare e ‘speciale’ ai miei preziosi compagni di viaggio, il direttivo della Camera penale, ineguagliabile per generosità e impegno, e ai qualificati relatori che hanno dato, ciascuno da par suo, davvero il meglio di sè. Alla prossima. Il nostro è soltanto un arrivederci. Francesco Iacopino

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Viaggio della speranza: un focus sulle condizioni carcerarie italiane con nessuno tocchi Caino a Catanzaro

La Camera penale di Catanzaro accanto ai detenuti, con Nessuno Tocchi Caino, nel progetto “Viaggio della Speranza. Visitare i carcerati”. Riflettori ancora puntati sulle condizioni di vita dei detenuti ristretti nelle carceri italiane.

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