Non c’è più tempo: ora, basta!
I penalisti chiedono l’intervento della Consulta: illegalità e disumanità nelle carceri impongono il rinvio dell’esecuzione della pena. di Veronica Manca* – “Non c’è più tempo” è il refrain principale di tutte le iniziative targate Unione delle Camere Penali Italiane dall’inizio del 2024 a oggi in materia di carcere: una tra tutte le “maratone oratorie” sui territori, voluta fortemente dalla Giunta e da Osservatorio carcere e che ha trovato il suo avvio proprio dalla Camera Penale di Catanzaro, lo scorso 29 maggio. Che non ci sia più tempo per ignorare la drammatica situazione delle carceri è qualcosa di così lampante da meravigliarsi che nulla sia ancora cambiato: sono ormai 40 le vite spezzate per suicidio, con modalità esecutive atroci e tutte per impiccagioni. Una strage di Stato: un suicidio ogni tre giorni e non solo da parte dei detenuti, perché l’intollerabilità del sistema schiaccia anche le vite umane degli operatori, con più di 3 suicidi da parte di agenti della polizia penitenziaria. In breve: secondo i dati forniti dal DAP, al 31 maggio 2024, i detenuti presenti nelle carceri sono 61.547 rispetto ad una capienza regolamentare “ufficiale” di 51.241 posti disponibili su 189 strutture. Del numero complessivo, 15.609 sono persone ristrette a titolo di custodia cautelare, con 9.382 in attesa del primo giudizio, mentre 6.227 sono condannati non definitivi (un 26% del totale). Da marzo ad aprile, in un solo mese, si è registrato un aumento della popolazione carceraria di 248 unità e si sono registrati ben 12 suicidi (con un ultimo suicidio avvenuto oggi, mentre sto scrivendo, presso il carcere di Ferrara: un collaboratore di giustizia, di 56 anni). Da aprile a maggio la crescita è continuata tanto che in questi ultimi tre mesi si sono avuti più di 500 nuovi ingressi e altri. Ad oggi sono 40 i suicidi, con un suicidio avvenuto presso il CPR di Roma. La fotografia che ne esce è di una bruttezza senza precedenti: per questo, tra le numerose azioni intraprese, la Giunta, con l’Osservatorio carcere ha offerto a tutti i penalisti una riflessione sulla criticità delle norme che governano l’esecuzione della pena, ritenendo, che, ove ce ne siano i presupposti, sia doveroso investire anche la Consulta per censuare l’illegalità con cui oggi si sconta la pena detentiva, in condizioni, appunto, disumane e senza il rispetto della dignità umana (il documento, con la nota accompagnatoria, è consultabile sul sito www.camerepenali.it). Si tratta di un ragionamento complesso diretto principalmente agli avvocati, ma che può essere colto in tal senso anche dalla magistratura di sorveglianza. Le norme censurate sono gli artt. 146 e 147 del codice penale, con cui si prevedono dei meccanismi di sospensione della pena: tra questi, non è compresa la possibilità di rinviare la pena in tutti quei casi in cui non sia possibile garantire standard di sicurezza e di esecuzione della pena conforme a Costituzione. È evidente che il sovraffollamento, il numero elevato di suicidi, la mancanza di risorse materiali e di personale e l’assenza, quanto meno ad oggi, di una riforma organica deflativa in materia penitenziaria rendono il sistema una bomba ad orologeria, prossima all’esplosione e il prezzo di vite umane da pagare è troppo alto per restare fermi in attesa del legislatore. Si chiede in altri termini che venga sollevata una questione di legittimità costituzionale degli artt. 146 e 147 c.p. e/o di uno di essi, a seconda della scelta argomentativa prescelta, nella misura in cui tali norme non consentono la sospensione dell’esecuzione della pena se scontata in condizioni disumane. La scelta della norma da censurare varia a seconda della forza argomentativa posta sulla centralità del concetto di dignità: se parametrato all’art. 146 c.p. è perché si sostiene, come è corretto, che la dignità non è bilanciabile con altri interessi e a fronte di una condizione di illegalità diffusa e sistemica non può residuare un margine di discrezionalità in capo al magistrato. Secondo tale impostazione è possibile immaginare anche nel nostro ordinamento un sistema detentivo basato sul c.d. “numero chiuso”, proprio e tipico dei Paesi del Nord oppure, anche se per via giurisprudenziale, di alcuni Stati membri degli Stati Uniti d’America, come per la California: al raggiungimento della capienza massima regolamentare scatterebbe l’obbligo di sospendere la pena. Seguendo, invece, l’altra norma di cui all’art. 147 c.p. si pone l’accento sul fatto che, per quanto il giudizio possa dirsi oggettivo, sia sempre e comunque necessario l’intervento del giudice il quale è chiamato a valutare anche i diversi profili soggettivi o altre soluzioni alternative. Secondo, quindi, un ragionamento altrettanto corretto, ma più equilibrato e rispondente a esigenze di bilanciamento, si attribuisce in ogni caso la scelta finale al magistrato di sorveglianza che, pur in una valutazione discrezionale, dovrà valutare criteri oggettivi inerenti, ad esempio, le condizioni della struttura, delle sezioni, delle celle, delle attività di trattamento, dello spazio per il pernottamento, delle condizioni igieniche, ecc., secondo quanto peraltro, previsto a livello generale dalla Corte europea nel caso Muršić c. Croazia. In entrambi i casi, si chiede alla Consulta di intervenire sulle norme, quali strumenti a chiusura di un sistema detentivo che dovrebbe operare nelle condizioni fisiologiche, mentre per i casi di patologia, come quelli di un sovraffollamento esasperante, con norme a carattere straordinario. In entrambi i casi, inoltre, i principi della Costituzione interessati sono quelli dell’art. 3, 13, co. 3 e 4, 27, co. 3, 117 Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 3 e 8 CEDU. La via delle riforme è senza dubbio quella più auspicata e anche tale documento può contribuire a dare nuova linfa al dibattito fornendo al legislatore delle proposte che, in altri Paesi, vicini a noi, come la Francia o la Spagna sono diventate realtà: la Francia, che soffre, in egual misura di sovraffollamento, prevede la possibilità di rinviare, a determinate condizioni, l’esecuzione in tutti quei casi di superamento del limite massimo di detenuti e sulla base di un vaglio giurisdizionale. È vero che la questione, da noi, era già stata esaminata dalla Consulta, con sent. n. 279/2013, ma è altrettanto vero che oggi le carceri italiane
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