USURA E REATI “A DUPLICE SCHEMA”: QUANDO IL TENTATIVO È GIÀ CONSUMAZIONE. UN MODELLO ALTERNATIVO È POSSIBILE?
di Pietro Luigi Riillo* – SOMMARIO: 1. Natura, connotati e struttura oggettiva della fattispecie – 2. Il tentativo – 3. Un modello alternativo – 4. La replicabilità del modello nelle fattispecie corruttive, ma non in quella concussiva o di induzione indebita ex art. 319 quater c.p. – 5. Conclusioni. 1. Natura, connotati e struttura oggettiva della fattispecie Il reato di usura, disciplinato all’art. 644 c.p., può essere delineato attraverso due aspetti caratterizzanti: il primo relativo alla fissazione di una soglia legale oltre la quale è da ritenersi integrata la presunzione di usurareità del tasso; il secondo, invece, concerne l’eliminazione – attraverso l’iter riformatore degli anni ‘90 – del requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno del soggetto passivo (e delle sue condizioni di difficoltà economiche), rinvenibile ora nella circostanza aggravante di cui all’art. 644, comma 5, n. 3, c.p. La norma punisce chiunque “si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità[i], interessi o altri vantaggi usurari”. Prima dell’entrata in vigore della L. 7 marzo 1996 n. 108, dottrina e giurisprudenza fissavano la consumazione del delitto di usura attraverso la “stipula” dell’accordo usurario[ii]. L’effettivo versamento degli interessi, d’altra parte, rappresentava una (eventuale) consecutio post-factum. Di diverso avviso – a seguito dell’introduzione dell’art. 644-ter c.p.[iii] – la giurisprudenza formatasi in ordine al momento consumativo della fattispecie. Difatti, qualora alla promessa seguisse poi una dazione “effettiva” (anche se rateale), quest’ultima – in quanto porzione del fatto – deve essere considerata parte integrante della fattispecie concreta[iv]. Alla luce di ciò, parrebbe giustificata l’adozione dottrinal-giurisprudenziale circa la natura a duplice schema del delitto in esame, potendosi configurare sia un “modello unitario” della condotta, allorquando alla promessa di versare interessi o vantaggi usurari (ed alla relativa accettazione) non seguisse la dazione vera e propria, e sia attraverso il modello “a condotta frazionata” (di natura eventuale), incidente sul calcolo della prescrizione e, conseguentemente, pure in ordine al tempus commissi delicti[v]. Sul medesimo schema distintivo si incastona, altresì, la duplice natura di reato di pericolo o di danno della fattispecie in esame. La struttura oggettiva del reato, difatti, alla luce del proprio carattere mutevole, fa dipendere la propria realtà naturalistica in ordine alla possibilità che la condotta si sia limitata alla sola accettazione della promessa da parte dell’agente (in tal caso ci si troverebbe di fronte ad un reato di pericolo), o all’eventualità che, dopo l’accettazione della promessa, sia avvenuta la dazione vera e propria (in un’unica soluzione o ratealmente), di tal guisa si avrebbe la tramutazione, post-factum, in reato di danno. Il legislatore, pertanto, ha scelto di punire già la fase (strumentale) della stipulazione dell’accordo, quale momento perfezionante la fattispecie, a nulla rilevando, in termini di punibilità, se ad essa seguisse (o addirittura potesse seguire), la dazione economica vera e propria. Il disvalore perseguito dalla norma risiede, dunque, semplicemente nella dazione o nell’accordo di corrispondere interessi o vantaggi usurari, supportato sul piano soggettivo dalla consapevolezza (dolo generico) dell’agente di superare il tasso soglia stabilito dalla legge (usura “in astratto”) o dalla sproporzione tra la prestazione fornita e la controprestazione richiesta (usura “in concreto”). Questo avviene a prescindere dall’iniziativa del reo nel promuovere l’operazione illecita di finanziamento e dall’eventuale accettazione volontaria delle condizioni usurarie da parte della vittima. Più articolato appare, peraltro, eseguire una ricognizione in ordine al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Non è univoco, difatti, capire quale sia il bene che la norma ha inteso porre alla sua tutela anticipata. Sul punto, la questione non ha trovato soddisfacimento neppure a seguito della riforma del 1996. Secondo un orientamento dottrinale prevalente, occorre ritenere come il bene giuridico non debba individuarsi nel patrimonio individuale della persona – fisica o giuridica[vi] che sia – bensì nella tutela del mercato creditizio[vii] o, in alternativa, nella correttezza dei rapporti economici[viii] o delle obbligazioni nascenti dai rapporti di credito al fine di porre un limite al costo del denaro[ix]. Inoltre, prendendo le mosse dal testo normativo dell’art. 644 c.p., la Corte di Cassazione, Sez. II, ha osservato[x] come “ai fini dell’integrazione del delitto di usura non è richiesta una condotta induttiva da parte di chi pone in essere la condotta usuraria, rilevando unicamente l’usurareità oggettiva delle condizioni pattuite”. All’interno del provvedimento dei giudici di legittimità, è stato pertanto escluso che ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo della fattispecie, ricorra la necessità che il soggetto agente debba realizzare una qualche condotta “preparatoria” di natura induttiva, neppure di tipo intimidatorio[xi]. Di tal guisa, è l’accordo tra le parti a rappresentare l’elemento costitutivo della fattispecie. Sul punto, il Supremo Consesso – nella medesima pronuncia – teneva a precisare come “il nucleo essenziale dell’elemento oggettivo consiste ora nel «farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità»” e che “nonostante il fatto che la formulazione legislativa «si fa dare o promettere» sembri presupporre l’iniziativa dell’usuraio, non rileva neppure il fatto che l’iniziativa di dare il via alla negoziazione usuraria sia stata presa dal soggetto che ha necessità del prestito”. Pertanto, esclusa dalla condotta tipica ogni genere di attività “pre-contrattuale” – l’attuale struttura oggettiva del reato di usura si sviluppa attraverso diverse fasi, alcune delle quali penalmente irrilevanti ed altre, invece, determinanti l’effettiva consumazione del reato. La fase preliminare può consistere sia nell’attività di procacciamento – ossia nella ricerca attiva del soggetto agente, disposto a concedere denaro a condizioni usurarie – e sia nell’attività di ricerca del capitale a interessi usurari da parte del “soggetto debole” del contratto. Tali attività, pur essendo potenzialmente sintomatiche di un contesto illecito, non hanno rilevanza penale diretta, sebbene possano giustificare l’applicazione di misure di sicurezza nei confronti del soggetto agente. Successivamente, si verifica la fase della trattativa, nella quale le parti avviano un negoziato circa le condizioni del contratto usurario. Anche in questa fase, l’ordinamento non attribuisce rilevanza penale alla condotta, trattandosi di una mera negoziazione priva di effetti giuridici vincolanti, fatta sempre salva l’applicabilità di misure di sicurezza nei confronti dell’agente. La successiva