POSSIBILI INCOMPATIBILITÀ DEL GIUDICE DELLA PREVENZIONE: ATTI ALLA CONSULTA

 

di Marco Talini*

La Cassazione approfondisce il tema delle possibili incompatibilità del giudice della prevenzione e rimette un’importante questione alla Corte Costituzionale. Note a Cassazione, Sezione Sesta n. 1328 del 10.9.2024, depositata il 4.12.2024

I.Il caso.
Il Tribunale Collegiale di Firenze, Ufficio delle Misure di Prevenzione, richiesto dalla Procura della Repubblica di Livorno dell’emissione di misura personale (sorveglianza speciale) e patrimoniale (sequestro e confisca di un vasto compendio immobiliare e di ingenti somme di danaro), dopo aver, in un primo tempo, restituito gli atti al PM proponente ai sensi dell’art. 20 comma 2 d.lgs 159/2011, indicando specificamente le ulteriori acquisizioni istruttorie, sia in punto di pericolosità, sia in punto di accertamenti patrimoniali utili all’emissione dei provvedimenti richiesti, ricevute le integrazioni suggerite, disponeva, in identica composizione, il sequestro di tutti i beni mobili ed immobili indicati dal PM[1]
.

Eseguito, quindi, il sequestro, il Tribunale, sempre nella stessa composizione, apriva il contraddittorio, fissando l’udienza per la trattazione della proposta di applicazione delle misure personali e patrimoniali. La difesa, in via preliminare, invitava il Tribunale ad astenersi, assumendo che l’aver emesso il provvedimento di restituzione degli atti ex art. 20 comma 2 d.lgs 159/2001 aveva pregiudicato la sua imparzialità nel valutare il susseguente sequestro, e che, comunque, l’aver emesso, in successione, entrambi i provvedimenti di cui all’art. 20 d.gs 159/2011, lo rendeva incompatibile a valutare la richiesta di confisca di cui all’art. 25 d.lgs 159/2011. Il Tribunale non accoglieva l’invito ad astenersi.

La difesa, pertanto, presentava dichiarazione di ricusazione, cui era allegata una memoria contenente l’eccezione d’illegittimità costituzionale degli artt. 34 e/o 37 cpp nella misura in cui non è prevista l’incompatibilità, e, conseguentemente, la ricusabilità del giudice della prevenzione che, investito della richiesta di sequestro, abbia restituito gli atti al PM per l’espletamento di nuove indagini finalizzate alla concessione di tale misura, e, comunque, del giudice della prevenzione che abbia emesso il sequestro a decidere sulla confisca. La Corte d’Appello rigettava la ricusazione e la difesa proponeva ricorso per cassazione.

 

II.La decisione
La Sesta Sezione della Corte di Cassazione, valendosi anche del potere di esaminare direttamente gli atti quando è censurata la legge processuale (Sez. Un. 42792 del 31.10.2001, Policastro, Rv 229092), ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, cod. proc. Pen., in riferimento agli artt. 24, 111 e 117 della Costituzione, trasmettendo gli atti alla Corte e disponendo la sospensione del giudizio in corso (Ordinanza n. 1328 del 10.9.2024, depositata il 4.12.2024, Presidente Ercole Aprile, Relatore Fabrizio D’Arcangelo).

L’ordinanza si pone in rapporto di assoluta continuità con il percorso giurisprudenziale finalizzato alla giurisdizionalizzazione costituzionalmente orientata del sistema delle misure di prevenzione e lo fa intervenendo nella fondamentale materia delle possibili incompatibilità del giudice della prevenzione, al fine di garantirne, quanto più possibile, imparzialità e terzietà.

Punto di riferimento essenziale è la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione 24.2.2022, n. 25951, che, come noto, superando un contrasto tra diversi orientamenti di legittimità[2], ha affermato l’applicabilità al procedimento di prevenzione del motivo di ricusazione di cui all’art. 37, comma 1 cpp – come risultante dall’intervento della Corte Costituzionale con sent. n. 283 del 2000 – nel caso in cui il giudice abbia in precedenza espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale.

In realtà quella sentenza, ampiamente richiamata dall’ordinanza in commento, ha detto molto di più sul tema dell’estensione al procedimento di prevenzione delle incompatibilità mutuate dal processo penale. Senza negare la diversità di struttura e di scopo rispetto al processo penale, le SS.UU. hanno affermato che l’attitudine della prevenzione ad incidere su diritti fondamentali quali la libertà personale (art. 13 Cost.), la libertà di circolazione (art. 2 del Prot. 4 CEDU) e il diritto di proprietà ed iniziativa economica (artt. 41 e 42 Cost., art. 1 Prot. Add. CEDU), impone di garantire e preservare scrupolosamente l’imparzialità del giudice.

Pertanto: “Individuato il referente della giurisdizionalizzazione del procedimento applicativo delle misure di prevenzione e dell’estensione allo stesso dei principi del “giusto processo”, tra questi ultimi assume un valore assolutamente primario quello dell’imparzialità del giudice, il cui difetto comporterebbe lo svuotamento sostanziale del significato proprio di tutte le regole e le garanzie processuali, che si risolverebbero in un mero e formalistico simulacro privo di alcuna reale incidenza sul corretto esercizio dello ius dicere. Appare così evidente come la disciplina informatrice della materia – processuale in genere e quindi valevole anche per il processo di prevenzione ndr – deve essere idonea ad evitare che il decidente possa essere o anche soltanto apparire, condizionato da precedenti valutazioni espresse sulla medesima res iudicanda, tali da esporlo alla forza della prevenzione derivante dalle attività giudiziarie precedentemente esercitate; diversamente opinando, si finirebbe per relegare il procedimento di prevenzione in un ambito contraddistinto da minor tutela, a fronte di un sistema di garanzie che è naturalmente ed inscindibilmente connesso allo ius dicere in senso proprio che non conosce aggettivizzazioni ulteriori”.

Non mancano, poi, opportuni richiami alla sentenza n. 24 del 2019 della Corte Costituzionale, che, prima delle Sezioni Unite della Cassazione, sugli stessi presupposti,  aveva affermato che le misure di prevenzione personali e patrimoniali devono soggiacere al combinato disposto delle garanzie costituzionali e convenzionali  anche nel procedimento che ne disponga la applicazione, procedimento che deve rispettare i canoni generali di ogni “giusto processo” garantito dalla legge, assicurando la piena tutela del diritto di difesa del soggetto nei cui confronti la misura sia stata richiesta. Ed in tale contesto, il prerequisito dell’imparzialità e della neutralità del giudice, costituisce uno dei più rilevanti aspetti del principio del giusto processo (Corte Cost. sent 283/2000).

Assai opportuno anche il richiamo a Corte Cost. n. 179 del 2024: “il processo intanto può dirsi giusto in quanto sia garantita l’imparzialità del giudice”, e l’imparzialità “non è che un aspetto di quel carattere di terzietà che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del Giudice, distinguendola da quella degli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e difesa in giudizio.”.

Passando ad analizzare la specifica questione sollevata dalla Sesta Sezione della Corte di Cassazione nell’ordinanza in commento, occorre ricordare che la difesa, nella dichiarazione di ricusazione del Tribunale di Firenze, aveva eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 37 cpp sia nella parte in cui non consente la ricusazione del giudice che abbia emesso il provvedimento di restituzione degli atti di cui all’art. 20 c. 2 Dlgs 159/2011, a provvedere in ordine al sequestro di cui al comma primo della stessa  norma, sia anche nella parte in cui non prevede l’incompatibilità e, quindi, la ricusabilità del giudice che abbia emesso il sequestro di cui al comma primo dell’art. 20 a decidere sulla confisca  di cui all’art. 24.

La Cassazione ha tuttavia ritenuto di rimettere gli atti alla Corte Costituzionale esclusivamente in relazione al primo dei due profili di illegittimità costituzionale che la difesa aveva sollevato davanti alla Corte d’Appello.

In relazione alle incompatibilità che potrebbero connettersi all’emissione del sequestro di prevenzione, la Corte di Cassazione sembra uniformarsi all’orientamento, che potremmo definire consolidato, secondo il quale, non essendovi nel processo di prevenzione differenziazioni di fase, non possono determinarsi incompatibilità in relazione a provvedimenti cautelari emessi nell’ambito della stessa ed unica fase processuale che è diretta alla decisione sulla proposta di misura[3].

Ma è proprio il tema delle fasi ad aprire la strada alla questione di costituzionalità che è poi stata effettivamente ed autorevolmente sollevata.

Ed invero, la giurisprudenza costituzionale distingue chiaramente i provvedimenti cautelari emessi all’interno di una stessa fase dai provvedimenti del giudice con i quali si restituiscono gli atti al pubblico ministero.

Relativamente ai provvedimenti restitutori, infatti, si determina la regressione del procedimento alla fase delle indagini e la regressione produce effettivamente un’efficacia pregiudicante. Vien fatto l’esempio dell’incompatibilità del giudice per le indagini preliminari che, investito della richiesta di decreto penale di condanna, abbia restituito gli atti al pubblico ministero per la contestazione di una circostanza aggravante, e, successivamente, sia chiamato a pronunciarsi sulla nuova richiesta (Corte Cost. sent. N. 16/1022); dell’incompatibilità del giudice dell’udienza preliminare che sia chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio in ordine al medesimo imputato ed al medesimo fatto, in relazione al quale, come giudice del dibattimento, abbia in precedenza disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 521 comma 2 cpp (Corte Cost. sent. N. 400 del 2008); dell’incompatibilità del giudice del dibattimento che abbia emesso in precedenza il provvedimento di restituzione degli atti al pubblico ministero ai sensi dello stesso art. 521 comma 2 cpp a procedere al susseguente giudizio (Corte cost. n. 455 del 1944).

Di fronte al provvedimento restitutorio, secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale, il pubblico ministero torna ad essere investito di tutte le proprie attribuzioni e potrebbe esercitare l’azione penale così come richiedere l’archiviazione ed è in relazione a questa situazione che nasce l’esigenza di attribuire ad un giudice diverso la decisione sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna, di rinvio a giudizio ovvero di condanna a seguito di dibattimento.

Poste queste premesse è il momento di analizzare il caso di specie.

 

III. La questione rimessa:

L’art. 20 comma 2 del d.lgs 6 settembre 2011 n. 159 prevede che “prima di ordinare il sequestro o disporre le misure di cui agli artt. 34 e 34 bis e fissare l’udienza, il tribunale restituisce gli atti all’organo proponente quando ritiene che le indagini non siano complete ed indica gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 per l’applicazione del sequestro o delle misure di cui agli artt. 34 e 34 bis”.

Ebbene, secondo la Suprema Corte, la restituzione degli atti al pubblico ministero disposta ai sensi ai sensi del richiamato art. 20 comma secondo D.lgs 159/2011 nel contesto del medesimo giudizio di prevenzione, definisce la fase di deliberazione del tribunale e determina la riespansione della fase delle indagini. L’organo proponente, infatti, è pienamente restituito, senza alcun limite, nelle proprie attribuzioni e può sia attivarsi nei termini indicati dal giudice, presentando una nuova proposta di sequestro e confisca, debitamente integrata, sia determinarsi ad archiviare il fascicolo, rinunziando a proseguire il procedimento di prevenzione.

Nel caso, tuttavia, che il pubblico ministero si orienti, come tendenzialmente avviene, a depositare la nuova proposta di misura di prevenzione “ … si apre una nuova fase del medesimo giudizio di primo grado, che, sebbene omologa alla precedente, è distinta e proprio in questa fase la valutazione contenutistica espressa nel provvedimento di rigetto della prima proposta esplica la propria efficacia pregiudicante”.

L’ordinanza, davvero completa sotto ogni profilo, si preoccupa infine di segnalare che il pregiudizio connesso al provvedimento di restituzione degli atti all’organo proponente di cui al comma secondo dell’art. 20 D.lgs 159/2011 non è affatto equipollente al potere riconosciuto al giudice dell’udienza preliminare dall’art. 421 bis cpp[4], perché, in quel caso, nonostante la restituzione degli atti al pubblico ministero per lo svolgimento di ulteriori indagini, non è affatto necessaria una nuova iniziativa di quest’ultimo per riattivare il procedimento, che era e rimane ancora pendente nella fase dell’udienza preliminare. Piuttosto ha punti di contatto con le “indagini coatte” disposte ai sensi dell’art. 409 comma 4 cpp dal giudice dell’udienza preliminare investito della richiesta di archiviazione, perché, anche in questo caso, si verifica una restituzione degli atti al pubblico ministero, il quale riacquista il potere, all’esito dell’espletamento delle indagini, di chiedere nuovamente l’archiviazione, ovvero di esercitare l’azione penale.

Su queste argomentazioni, sulle quali non si può che esser d’accordo, non resta che attendere la decisione della Corte Costituzionale.

 

IV. Le questioni ancora aperte:

Tuttavia, pur consapevoli del contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità e delle ragioni che lo sostengono, cui, del resto, sembra aderire anche l’ordinanza in commento, esiste un ben più grave problema legato all’effettiva imparzialità e terzietà del giudice della prevenzione, che si manifesta allorquando – cioè sempre – il medesimo giudice che ha emesso il sequestro di cui al comma primo dell’art. 20 Dlgs 159/2011 si pronuncia sulla confisca di cui al successivo art. 24.

Come già si è scritto, le stesse Sezioni Unite, nella sentenza del 24.2.2022 n. 25951, in un passaggio incidentale della decisione, hanno espresso una valutazione apertamente scettica circa l’incompatibilità a decidere sulla confisca di prevenzione da parte del giudice che abbia emesso il decreto di sequestro.

Nel procedimento penale, si argomenta, laddove si operi all’interno della medesima fase (ed è questo l’argomento comune a tutte le decisioni di legittimità sul punto), non possono esservi incompatibilità tra il giudice della cautela e il giudice della decisione di merito. E siccome nel procedimento di prevenzione non ci sarebbe una distinzione di fasi, se ne dovrebbe dedurre che la prospettata incompatibilità non abbia ragion d’essere.

Ma ha davvero senso parlare di fasi nel procedimento di prevenzione?

In realtà nel procedimento di prevenzione, caratterizzato da estrema sommarietà, possiamo individuare, seppur in modo approssimativo, il momento preliminare del sequestro ordinario di cui all’art. 20 d.lgs 159/2011, che interviene nel più assoluto segreto (e che può essere preceduto anche dalla restituzione degli atti al proponente a norma del comma 2), da quello della confisca di cui all’art. 24, che è necessariamente preceduto dall’apertura del contraddittorio.

Prima c’è il sequestro, che può esser disposto anche d’ufficio, normativamente vincolato al controllo del giudice sulla completezza delle indagini, poi c’è l’apertura del contraddittorio.

Se proprio si vuol, pensare a parallelismi col processo penale, il sequestro previsto dall’art. 20 d.lgs 159/2011, costituisce, nella sostanza, una sorta di vaglio preliminare, assimilabile, pur con le doverose cautele, a quello demandato, nel giudizio penale, al giudice dell’udienza preliminare ovvero a quello del predibattimento chiamati a valutare la richiesta di rinvio a giudizio. Tant’è vero che l’avviso di fissazione dell’udienza camerale, cioè la citazione a giudizio, viene notificata immediatamente dopo l’esecuzione del sequestro[5], e solo in questo momento viene aperto il contraddittorio e concessa alla difesa la possibilità di controdedurre rispetto alla proposta.

Il che rende assai diversa la posizione del giudice della prevenzione che emetta il sequestro rispetto a quella del giudice del dibattimento che sia chiamato a decidere su richieste cautelari.

Il principale motivo che ha indotto la giurisprudenza ad escludere l’incompatibilità del giudice del dibattimento investito di richieste cautelari è quella di impedire che le parti possano, mediante loro iniziative, influire sul giudice che dovrà decidere nel merito. Le sentenze di legittimità, giustamente, osservano che attraverso plurime richieste di revoca e/o modifica delle misure cautelari le parti potrebbero provocare un valzer infinito di collegi giudicanti.

La legittima preoccupazione per quest’inconveniente, tuttavia, non appare prefigurabile rispetto al sequestro di prevenzione: i provvedimenti di cui ai primi 2 commi dell’art. 20 d.lgs 159/2011, infatti, vengono emessi prima che si apra il contraddittorio. Il problema, semmai, potrebbe verificarsi a contraddittorio integrato (allorchè ad esempio il prevenuto richieda la revoca o la modifica del sequestro), ma, in quel caso, dovrebbe allora correttamente richiamarsi la giurisprudenza che riguarda la competenza cautelare del giudice che sta effettivamente procedendo.

Merita aggiungere, tra le tante, un’ultima considerazione.

Nel giudizio penale ordinario la confisca, essendo necessariamente connessa (quantomeno in primo grado) ad una pronuncia di condanna, è soggetta al criterio dell’al di là di ogni ragionevole dubbio; talché è ben possibile che quello stesso giudice che ha valutato nel procedimento cautelare incidentale sulla base del fumus, all’esito del dibattimento ed alla luce delle prove ivi utilizzabili, ritenga che il quadro indiziario non superi il criterio valutativo per la pronuncia della condanna, e, conseguentemente, per disporre la confisca.

Quindi il giudice che, nella medesima fase processuale, abbia adottato una misura cautelare personale o reale, attenendosi ai criteri sopra richiamati, non dovrebbe trovarsi nella condizione di “confermare o contraddirsi[6].

Nel procedimento di prevenzione, invece, il ruolo della difesa è necessariamente ridotto in ragione della sua matrice inquisitoria, e, soprattutto, della mancanza di limitazioni nell’utilizzabilità delle prove, tal che il materiale probatorio che ha costituito la base del sequestro, al di là delle modeste integrazioni che può portare il contraddittorio, è sostanzialmente il medesimo che viene valutato nell’ambito della confisca. Ma soprattutto, nel procedimento di prevenzione, la decisione finale sulla confisca, al pari di quella sul sequestro che la precede, non è certo assunta in base criterio legale del “al di là di ogni ragionevole dubbio”.

Sequestro e confisca, in buona sostanza, tendono a confondersi.

Si potrebbe sostenere, tuttavia, che permane una differenza tra la valutazione da compiersi al fine dell’emissione del sequestro di prevenzione e quella che sovrintende alla confisca in ragione di alcune modeste differenze terminologiche adottate negli artt. 20 e 24 D.lgs 159/2011. Ma ciò potrebbe essere efficacemente sostenuto soltanto nel caso in cui, per l’assunzione della decisione finale sulla confisca, il legislatore avesse richiesto uno standard valutativo di certezza processuale che si esprime nel criterio “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Ma così assolutamente non è ed allora diciamolo chiaramente: non sussiste un’effettiva differenza tra lo standard valutativo indiziario richiesto per l’emissione del decreto di sequestro e quello, parimenti indiziario, fondante la pronuncia sulla confisca di cui all’art. 24 l. 159/2011.

In definitiva lo standard valutativo e l’identità del materiale istruttorio indiziario posti a fondamento dell’emissione del sequestro e della confisca, rende il decreto di sequestro un atto non neutro in punto di merito.

Tutte queste considerazioni, a nostro parere, rendono urgente un intervento, se non della Corte Costituzionale, visto l’orientamento di netta chiusura sin qui espresso dalla giurisprudenza, anche nell’illuminata ordinanza in commento, quantomeno del legislatore.

Crediamo vi sia un accordo generalizzato su ciò che hanno scritto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 25951 del 2022, e cioè che al processo di prevenzione debbano estendersi senza riserve i principi del “giusto processo” e che, tra questi, “ … assume un valore assolutamente primario quello dell’imparzialità del giudice, il cui difetto comporterebbe lo svuotamento sostanziale del significato proprio di tutte le regole e le garanzie processuali, che si risolverebbero in un mero e formalistico simulacro privo di alcuna reale incidenza sul corretto esercizio dello ius dicere”.

Ed allora, per salvaguardare questo valore primario si deve necessariamente intervenire sugli articoli 20 e 24 del D.lgs 159/2011, prevedendo non soltanto l’incompatibilità del giudice abbia disposto la restituzione degli atti al proponente per lo svolgimento di ulteriori indagini, a provvedere sulle eventuali successive richieste di sequestro e confisca, ma anche e soprattutto quella del giudice che abbia disposto il sequestro di cui al comma primo dell’art 20 a decidere sulla proposta di confisca di cui all’art. 24.

*Avvocato, Componente Osservatorio Misure Patrimoniali e di Prevenzione UCPI

[1] Il provvedimento di sequestro era estremamente analitico, mostrava di analizzare ogni possibile aspetto della vita del proposto, quantomeno a partire dagli anni ’70 sino primi vent’anni del nuovo millennio, nonché della prospettata sproporzione, e constava di oltre 100 pagine, con una preventiva trattazione e confutazione di ogni possibile questione di diritto sia sostanziale che processuale.
[2] Sono ampi ed esaustivi i richiami contenuti nell’ordinanza ai precedenti sul tema; leggendo il provvedimento si può apprezzare quante fossero le sfumature delle precedenti decisioni sul tema delle incompatibilità nel processo di prevenzione, tuttavia riassumibili nella dicotomia tra favorevoli o contrarie all’estensione delle incompatibilità del processo penale nel processo di prevenzione.
[3] La questione di legittimità costituzionale dell’art. 34 Cod. proc. Pen sollevata con riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 111 cost., nella parte in cui non prevede l’incompatibilità a partecipare al giudizio di prevenzione del giudice che abbia in precedenza adottato un provvedimento di sequestro, avendo quest’ultimo carattere interinale e provvisorio, inserito in un procedimento destinato a concludersi in una pronuncia decisoria finale (sez. V, sent. N. 38458 del 18.7.2012, Garruzzo, RV 253570-01; sez I, n. 15684 del 7.2.2002, Schiavone, RV 221844-01) e tale orientamento è stato confermato anche dalle Sezioni Unite Lapelosa.
[4] Art. 421 bis – Ordinanza per l’integrazione delle indagini 1. Quando non provvede a norma del comma 4 dell’articolo 421, il giudice, se le indagini preliminari sono incomplete, indica le ulteriori indagini, fissando il termine per il loro compimento e la data della nuova udienza preliminare. Del provvedimento è data comunicazione al procuratore generale presso la corte d’appello. 2. Il procuratore generale presso la corte d’appello può disporre con decreto motivato l’avocazione delle indagini a seguito della comunicazione prevista dal comma 1. Si applica, in quanto compatibile, la disposizione dell’articolo 412, comma 1.
[5] Art. 20 comma 2: “Prima di ordinare il sequestro o disporre le misure di cui agli articoli 34 e 34-bis e di fissare l’udienza, il tribunale restituisce gli atti all’organo proponente quando ritiene che le indagini non siano complete e indica gli ulteriori accertamenti patrimoniali indispensabili per valutare la sussistenza dei presupposti di cui al comma 1 per l’applicazione del sequestro o delle misure di cui agli articoli 34 e 34-bis”.
[6] In materia della non necessaria neutralità del decreto di sequestro anche in sede di merito, si segnala la pronuncia della Corte Costituzionale n.  181/2004, con la quale la Corte ha affermato come la pronuncia sulla cautela reale in una diversa fase processuale da parte dello stesso giudice, quando in quella sede ci si è espressi anche sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, consente l’applicazione dell’art. 36 comma 1 lettera h), ossia il giudice si può astenere per gravi ragioni di convenienza (che opera dunque anche in ragione di precedente attività giurisdizionale svolta e non solo per ragioni di carattere personale). Nonché Cass. Sentenza n. 15689/2020 che, citando la sentenza della Corte Costituzionale n. 181/2004, espone che l’esercizio del potere della cautela reale in una precedente fase del giudizio può essere causa di astensione e ricusazione e come in tal caso il “parametro è una verifica in concreto dell’eventuale valutazione sul merito compiuta dal giudice del sequestro, tale da risultare pregiudicante ad una successiva fase del giudizio.

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