di Giulia Boccassi*
Quanto accaduto nei giorni scorsi avanti alla Corte di Appello di Firenze, ove quattro avvocati al termine di un’udienza durante la quale erano stati impegnati nella difesa di due imputati per il reato di violenza sessuale, sono stati destinatari di offese e minacce (tanto da dover uscire da una porta secondaria del Palazzo di Giustizia) per il fatto stesso di aver assunto quel mandato, mostra la gravità del pensiero dominante in tema di diritto di difesa.
È infatti sempre più evidente il pregiudizio che accomuna l’attività difensiva alla difesa del reato stesso; questo è il frutto di una cultura populista e demagogica che ignora i principi costituzionali secondo i quali il diritto di difesa è tra quelli fondamentali del cittadino.
Ma l’attacco al ruolo del difensore è stato in questo caso, ancora più odioso perché rivolto anche ad una avvocata “colpevole”, in quanto donna, di aver assunto la difesa di un presunto violentatore.
Non si tratta purtroppo di un caso isolato.
Troppe sono le colleghe che vengono aggredite e minacciate per aver semplicemente assolto al loro ruolo di difensori. È assurdo e paradossale in una società che si dice evoluta ritenere poco etico che una donna possa difendere un uomo accusato di particolari reati.
Purtroppo, la cronaca ci pone sempre più spesso difronte a manifestazioni di quel dominante populismo giudiziario che ha in odio le garanzie e i diritti a maggior ragione se ad esserne portatrici sono le avvocate che divengono così vittime di esecrabili attacchi social e non solo, come nel caso di Firenze, per aver assunto la difesa di un accusato di violenza sessuale, quasi fosse un tradimento al genere femminile.
Questi esecrabili episodi sono emblematici di un modo di pensare infarcito di stereotipi e che rappresentano sempre più le avvocate, in quanto donne e madri, investite per elezione del ruolo di difensori della vittima e quindi “per natura” distanti dalla possibilità di difendere uomini accusati di particolari reati.
La gogna mediatica che troppo spesso identifica l’accusa con la certezza della responsabilità dell’indagato e che condanna ancor prima che sia emessa una sentenza alimenta quotidianamente l’insofferenza, che spesso sfocia in violenza, nei confronti di tutte quelle avvocate che assolvono al loro ruolo di difensori con la medesima professionalità e il medesimo impegno sia che tutelino imputati o vittime, nella convinzione che non ci siano interessi più meritevoli rispetto ad altri.
È incredibile che simili posizioni, tipiche della vulgata populista, siano condivise anche da qualche magistrato che vorrebbe dividere gli avvocati in base agli interessi che tutelano: le avvocate buone stanno con i centri antiviolenza, mentre le avvocate delle camere penali difendono i presunti violentatori. La realtà è che la difesa non è mai una questione di genere e il diritto di difesa non consente differenze di genere e di categorie.
Si è avvocati a prescindere dal sesso, a prescindere dal titolo del reato e a prescindere dal cliente che si assiste, sia esso imputato o persona offesa.
Si è avvocati e basta.
D’altro canto, non è questo il modo di affrontare il fenomeno ingravescente come quello della violenza sulle donne che ha radici sociali e culturali profonde e che non ha certo trovato argine nei recenti interventi legislativi, securitari ed emergenziali.
La convinzione che nessun processo per nessun titolo di reato giustifichi manifestazioni di insofferenza nei confronti dei principi costituzionali e delle garanzie processuali proprie dello Stato di diritto, è il pilastro del ragionamento intorno all’idea di parità in cui le avvocate UCPI credono e si riconoscono, respingendo ogni deplorevole attacco al diritto di difesa.
D’altro canto, l’UCPI è sempre stata, e sempre lo sarà, a fianco delle avvocate e delle donne nella convinzione che pari opportunità significa tutela dei diritti fondamentali, diritti che debbono essere garantiti sempre a tutte e a tutti.
Ed il garantismo non è mai una questione di genere, così come la difesa non è una questione di genere.
Il ruolo e la dignità dell’avvocato non hanno dunque alcuna connotazione di genere e devono essere riconosciuti e tutelati come previsto dal nostro sistema penale e dalla Costituzione perché gli avvocati e le avvocate rappresentano l’ultimo baluardo in difesa dei diritti di tutti i consociati.
Occorre dunque rivendicare con forza che si è difensori senza se e senza ma, rifuggendo la facile semplificazione che vuole le avvocate relegate a ruoli di difesa delle persone offese e più inclini alla tutela di questo tipo di interessi.
Da sempre le avvocate in Italia e nel mondo sono in prima linea nella battaglia per il riconoscimento dei diritti degli ultimi, degli oppressi, e anche di quelli che nessuno vuole difendere, e lo fanno sempre allo stesso modo con la stessa passione e la stessa determinazione, non lasciandosi mai intimidire.
*Componente di Giunta dell UCPI