ANCORA QUALCHE RIFLESSIONE SU PRINCIPI DEL DIRITTO PENALE LIBERALE E ATTUALE SISTEMA PUNITIVO.

 

di Nicola Mazzacuva* – 

Risulta del tutto agevole avvertire oggi, nella materia penale, un singolare ‘distacco’ tra i principi fondamentali frutto di una secolare elaborazione scientifica e l’attuale sistema punitivo.
Costituisce, invero, criterio generalmente riconosciuto quello che porta ad orientare la disciplina giuridica di ogni attività di rilievo sociale sulla base del sapere scientifico via via affermatosi nei singoli settori di riferimento. Le indicazioni di volta in volta fornite dagli esperti rappresentano, invero, il fondamento primario di ogni intervento normativo affidato al legislatore ovvero al soggetto istituzionale comunque deputato ad occuparsi delle più diverse regolamentazioni positive in attuazione dei canoni elaborati in ambito scientifico.

Si può convenire che anche nel settore penale il pensiero degli studiosi abbia orientato (quantomeno da Beccaria in poi) le scelte del legislatore nella costruzione di un ordinamento rispettoso di taluni basilari principi delimitativi della potestà punitiva. I valori e i postulati del “diritto penale liberale vengono a coincidere, sostanzialmente, con quelli del “garantismo”, che può essere considerato un’evoluzione e un precipitato tecnico dell’ideologia liberale applicata al diritto penale.
Persino nel periodo dello Stato autoritario il nuovo codice penale (espressione del regime appena affermatosi) conteneva, proprio nello sue norme di parte generale, ben note previsioni di limitazione e garanzia a tutela del “suddito”, nonché la disciplina di istituti (ad. es., amnistia, indulto e prescrizione) comunque orientati ad una possibile eliminazione ovvero riduzione delle conseguenze penali di un fatto (pur) previsto come reato.

E, dopo la caduta di quel regime, la dottrina penalistica italiana dell’epoca rivendicò la propria opera svolta a salvaguardia dei principi fondamentali, riconosciuti appunto ormai come assolutamente basilari in ambito scientifico (v, per tutti, G. LEONE, La scienza giuridica penale nell’ultimo ventennio, Aerch. pen., 1945, p. 23 ss.).

Principi affermati, poi, nella Carta fondamentale rappresentando, così, esito davvero significativo della prima approfondita lettura costituzionalmente orientata del diritto penale quello volto a segnalare la “superiore” esigenza di una limitazione dell’ordinamento punitivo (F. BRICOLA, Teoria generale del reato, in Noviss. Dig. it., 1973, p. 7-93). Successive indagini hanno puntualmente sottolineato che proprio nell’apparente «insufficienza» sta «la vera “forza” del diritto penale, il suo irrinunciabile ancoraggio garantista» completato «dal collegamento con la dogmatica del bene giuridico: tutela selettiva di beni individuali protetti soltanto da modalità di lesioni “qualificate”, “tipiche” e   “tassative”», denunciandosi già da tempo l’ipertrofia del diritto penale e la necessità di una decriminalizzazione dei reati bagatellari (C.E. PALIERO, Minima non curat praetor, Padova 1985: il brano citato si trova a p. 161).

Secondo quanto veniva, poi, declinato da altra autorevole dottrina «l’obiettivo politico principale dell’approccio costituzionalistico» consisteva «nella riduzione dell’area penalmente rilevante in vista dell’attuazione del principio di extrema ratio: tutti i vincoli che esso ha inteso porre all’attività del Parlamento – pericolo concreto, beni di rilevanza costituzionale, tassatività, riserva assoluta di  legge, colpevolezza, abolizione delle contravvenzioni – erano fondati sull’esigenza di giustificare il principio di sussidiarietà, di rendere operativo quel disegno politico» (M. DONINI, Il volto attuale dell’illecito penale, Milano, 2004 p. 72).

Così, un diritto penale costituzionalmente orientato può, in effetti, essere considerato «un diritto penale razionale» in quanto «si radica nell’esigenza di una delimitazione ‘critica’ dell’autorità punitiva» (CANESTRARI-CORNACCHIA-DE SIMONE, Manuale di diritto penale, Bologna, 2017, p. 40).

Considerando, però, la situazione attuale della ‘legalità penale’ si può senz’altro convenire sul fatto che il nostro sistema positivo risulta sempre più sommerso da un’incontrollabile moltitudine di norme incriminatrici – evidenziando, così, un singolare (e netto) contrasto con le diverse acquisizioni/indicazioni scientifiche del tutto dominanti –  che rende impossibile non solo conoscere tutti i reati “legalmente” previsti, ma financo calcolarne l’esatto numero.
Mi riferisco, appunto, all’enorme quantità di figure criminose che connota ormai l’immensa (neppure precisamente “quantificabile”: il che risulta davvero incredibile e allarmante) parte speciale del diritto penale.

Davvero molto interessante ed approfondita risulta, da ultimo, un’ampia e documentata indagine, dal titolo immediatamente “provocatorio” (A. CADOPPI, Il “Reato penale”, Napoli, 2022), ove si esaminano puntualmente gli esiti attuali del processo definito di “overcriminalization”: esiti che non è possibile qui (neppure sinteticamente) riassumere.

Anche e proprio per il suo “gigantismo” può essere ribadito che, in effetti, la parte speciale rappresenta il “vero e proprio diritto penale”: tutt’altro che minimo; tutt’altro che extrema ratio.
Soluzioni orientate ad una maggiore punizione contraddistinguono ormai anche il diritto penale applicato nel momento di commisurazione della pena.

Del resto, l’ampliata possibilità di applicazione di una “pena carceraria” costituisce il (quasi obbligato) esito di interventi legislativi aventi ad oggetto spesso soltanto l’incremento del trattamento sanzionatorio ovvero comunque finalizzati ad impedire l’applicazione di misure alternative al carcere. Un diffuso aumento delle pene edittali connota, invero, le più recenti novelle legislative in materia penale allo scopo dichiarato di ottenere (quasi soltanto) per questa via consenso “popolare”. Ed i nuovi (più elevati) moduli sanzionatori – le (così definite)  “pene elettorali” – provocano necessariamente ulteriori applicazioni di detenzione carceraria: sia in fase cautelare, sia quale pena definitiva.
E così si perviene ad un singolare esito neppure immaginabile nello sviluppo “scientifico” del diritto penale liberale (poi anche) orientato ai valori e ai principi costituzionali.
Lungi dal muoversi nella prospettiva del diritto penale minimo (ovvero – se si vuole – della riserva di codice), l’attuale fase ben si può definire come quella del “diritto penale massimo”.

Le odierne politiche penali populiste non si preoccupano di eventuali garanzie per il reo (altro che diritto penale come “Magna Charta del reo” come voleva von Liszt), ma tendono proprio a sacralizzare la vittima. Lo stato non si sostituisce più alle vittime, ma si identifica con esse, se non altro per scongiurare qualsiasi “complicità” sospetta con il reo; mentre proprio il passaggio dal diritto penale privato – di impronta vendicativa – al diritto penale pubblico è avvenuto proprio attraverso la cd. “neutralizzazione” della vittima.
Occorre, inoltre, sempre rimarcare il totale abbandono di ogni prospettiva di una (invece assolutamente necessaria) lettura ‘integrata’ dal diritto penale, coniugato, appunto, con gli altri saperi (anzitutto quelli criminologici e sociologici) che trattano la ‘questione criminale’.

Così la criminalità «non è [più] oggetto di conoscenza in una prospettiva causale e quindi, alla fine, cessa di essere oggetto di conoscenza tout court … dalla criminalità quindi non ci si difende sconfiggendone le cause, per la semplice ragione che l’azione criminale non è l’effetto di alcuna causa in particolare, personale o sociale che sia. Dalla criminalità – come realtà nociva – ci si difende … neutralizzando selettivamente i “nemici”».

È indubitabile che l’ideologia della neutralizzazione selettiva, e soprattutto preventiva, sia costretta sovente a fare ricorso ad «una lettura del criminale come “altro”, come assolutamente “diverso”… nei cui confronti viene bandito sia ogni sentimento di comprensione, sia ogni scrupolo garantista nella repressione  accanto quindi ad una “criminologia della vita quotidiana”, si sviluppa anche una ‘criminologia dell’altro”, un discorso sul criminale come nemico la cui pericolosità non può essere in altro modo “gestita” se non attraverso la sua neutralizzazione; e per metterlo nella condizione materiale di non nuocere, alla fin fine non necessita neppure conoscerlo più di tanto».

Il passaggio nella politica criminale da un modello inclusivo ad uno di mera “esclusione” è segnato dal negare progressivamente alla criminalità la dimensione stessa di “questione”: «nulla di problematico, quindi, che debba essere studiato, capito ed eventualmente risolto aggredendone le cause» (nei termini riportati, M PAVARINI, Postfazione alla IV edizione di Carcere e fabbrica, Bologna, 2018, p. 328 ss.).

Un singolare diritto penale “massimo” che, così, diventa (anche) “totale” perché “ogni spazio della vita individuale e sociale è penetrato dall’intervento punitivo che vi si insinua” e, soprattutto, perché “è invalsa nella collettività e nell’ambiente politico la convinzione che nel diritto penale si possa trovare il rimedio giuridico a ogni ingiustizia e a ogni male sociale” (così F. SGUBBI, Il diritto penale totale, Bologna, 2019, p. 23).
Occorre, invece, sempre rimarcare l’evidente nesso logico tra principio di tassatività e carattere sussidiario, nonché frammentario, dell’intervento penale.

Il cd. “principio di sussidiarietà” rappresenta, in realtà, non soltanto un presupposto – sul piano logico – del principio di tassatività, ma anche (e ancor prima) espressione della moderna concezione del diritto penale. In questa prospettiva un determinato fatto, pur considerato giuridicamente illecito, può essere sanzionato con la pena soltanto se risulta inadeguato ogni altro tipo di sanzione.
In stretto collegamento con l’idea di sussidiarietà, di stretta tipicità e tassatività dell’illecito penale, si viene a delineare il cd. “principio di frammentarietà”.
Molto opportunamente  si segnala l’importanza – proprio oggi – di tale principio, facendo richiamo (v. sempre CADOPPI A., Il “Reato Penale”, cit. 41) espressamente al canone n. 9 del Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo pubblicato nel 2019 dall’Unione delle Camere Penali secondo cui, appunto, “Il diritto penale liberale, muovendo dal primato delle libertà, opera in via di eccezione. In quanto derogatorio, esso deve essere di volta in volta razionalmente giustificabile. La frammentarietà è carattere irrinunciabile del diritto penale, così come la risposta penale deve costituire l’extrema ratio a fronte di altri possibili rimedi sanzionatori”.

* Presidente del Consiglio delle Camere Penali già ordinario di diritto penale nell’Università di Bologna

 

(Pubblicato su Ante Litteram n.1 – aprile 2024)

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