di Nunzio Citrella* –
Apocalittici o integrati dinanzi all’uso dell’intelligenza artificiale nel processo penale? Ciò che è certo è che la consapevolezza e lo studio approfondito del fenomeno attuale assumono un’importanza ben più rilevante delle terrificanti descrizioni distopiche: troppo spesso i tratti di uno scontro epico tra l’uomo e la macchina, con il primo destinato a soccombere.
Partiamo quindi dalla situazione attuale che ci vede vivere e operare nel triste ed insignificante mondo disegnato dall’acritico e impersonale copia-incolla. Un mondo reso arido (… e molto noioso per il giurista) in cui le esigenze quantitative di produzione giuridica seriale, quasi fordista, mettono in ombra l’essenza stessa della funzione giurisdizionale, quel servizio ragionato volto a regolare i rapporti tra esseri umani. Così, ad esempio, quante copiose ordinanze applicative di misure cautelari sono il copia-incolla di elaborate richieste di applicazione della misura che sono il copia-incolla di CNR che copiano e incollano indiscriminatamente fonti indiziarie?
Così la metodologia investigativa, nel sistema della mal gestita abbondanza che caratterizza il nostro tempo, è spesso stata (anche) quella di creare un pagliaio intorno ad ogni ago, con l’effetto di affidare alla difesa il difficile e talvolta insormontabile compito di ricerca degli elementi rilevanti all’interno di un compendio investigativo disordinato e lutulento.
Sembra che l’accostamento tra catena di montaggio e copia-incolla sia assolutamente calzante.In questa ottica l’Intelligenza Artificiale, con la sua indubbia capacità di gestione di enormi quantità di dati e con una sufficiente capacità di riassumerne i contenuti, diventa indubbiamente uno strumento che rende meno appetibile il ricorso a queste strategie investigative sovrabbondanti, limitandone la portata, a patto che si sappia quali domande porre alla nostra strana “alleata” digitale.
L’Intelligenza Artificiale ben gestita si candida a diventare uno strumento di parità sostanziale tra le parti del processo penale, favorendo un dialogo paritario finalmente incentrato sul dato qualitativo e disinnescando l’acriticità che discende dall’uso indiscriminato e disumanizzante del copia-incolla.
Una riflessione è però necessaria conseguenza di questo ragionamento: se le parti possono snellire il compendio indiziario, riassumendolo tramite I.A., sembra inimmaginabile una realtà in cui viene impedito al Giudice di utilizzare lo stesso strumento per la gestione di dati probatori o per la redazione di parti della motivazione. Il Giudice può finalmente accantonare l’indiscriminato uso di copia-incolla che ha realmente distrutto la credibilità di molti provvedimenti e usare un nuovo strumento per muoversi criticamente all’interno del compendio probatorio.
Sul tema del “muoversi criticamente” si innesta la possibilità di re-introdurre nel sistema processuale una qualità dell’avvocatura che è stata fin troppo umiliata dalle esigenze di produzione industriale delle sentenze: la restituzione del processo all’uomo, paradossalmente grazie alla macchina.
L’Avvocato non dovrà soltanto conoscere e far applicare la legge sostanziale o processuale, ma indosserà la Toga per rivendicare agli occhi del Giudice l’umanità, per introdurre quelle sfaccettature della dimensione umana che finora non s’è avuto il tempo di valutare nei processi (non quanto sarebbe stato opportuno o necessario).
L’Avvocato ricorderà sempre e comunque al Giudice che Egli non è un operaio che lavora alla catena di montaggio delle sentenze, ma un essere umano chiamato ad introdurre con prepotenza e orgoglio l’elemento emozionale nella sua produzione giuridica. Il Penalista che conosce l’essere umano e lo porta dentro le torri d’avorio della Giustizia accompagnerà per mano il Giudice invitandolo a porre ad I.A. le domande giuste, quelle che gli consentiranno di personalizzare e personificare la sua sentenza. In questo futuro prossimo, l’Avvocato non è più chiamato ad essere un mero conoscitore del diritto, ma diventa (o forse torna ad essere) un vero e proprio umanista, restituendo il diritto alle scienze umane. La sorte, che non manca certo di ironia, ci invita ad utilizzare a questo scopo giusto ciò che di meno umano ci fornisce il panorama delle nostre disponibilità.
La macchina imita l’uomo, indirettamente gli impone di ricordare chi è, quale è il suo ruolo, nella vita come – per quel che ci riguarda in questa sede – nel processo penale; la macchina impone alla coscienza del Giudice di essere carne e sangue, di “complicare” gli algoritmi innestandovi le infinite variabili dell’emotività umana.
Non v’è alcuna accettabile alternativa al Giudice umano ed emotivo, fortunatamente fallibile ma giusto, convinto e non persuaso dall’esito di un dibattito regolato da altri due esseri umani, portatori di tesi e antitesi contrapposte che si integrano, si contestano, si scontrano e portano ad una verità condivisa.
Non v’è alternativa in senso sostanziale perché la rinuncia all’umanità e all’emotività del Giudice rischia di condurre a soluzioni aberranti su temi che la statistica non può risolvere. Un esempio per tutti: I.A. simula ragionamenti razionali e quindi è capace di creare una moltitudine di catene causali plausibili che non potranno essere altro che ontologicamente ragionevoli e quindi sempre e comunque integranti un ragionevole dubbio che rischia di generare un loop inaccettabile.
Non v’è alternativa in senso sociale, rappresentando il processo penale uno strumento di catarsi laica nel quale il Giudice assume la funzione di personificazione delle istanze del gruppo sociale che proprio attraverso il rito risolve il conflitto. L’esclusione dell’umanità del Giudice dal processo, intendendosi l’umanità non solo come figura fisica presente in aula ma soprattutto come contributo emozionale al processo decisionale, comporterebbe l’impossibilità per il gruppo sociale di impersonarsi nel Decidente. Il rischio è quello di generare un pesante vuoto nella risoluzione governata dei conflitti sociali e in un’ultima analisi aprendo le porte a inaccettabili scenari degni di quel futuro distopico paventato dai più fantasiosi apocalittici.
Tornando alla domanda iniziale, è allora probabile che l’unica via sia quella di essere “consapevolmente integrati”, non ingenuamente ottimisti né aristocraticamente pessimisti, fieramente portatori della nostra imperfetta ma irrinunciabile umanità.
*Presidente Camera penale degli Iblei