IL DIRITTO PENALE VITTIMOCENTRICO VS. DIRITTO PENALE REOCENTRICO

di Cecilia Bandiera* e Pasquale Longobucco** – 

Nel settembre del 2019, la Camera Penale Ferrarese ospitò un convegno strutturato in due giornate, dal titolo “La difesa delle garanzie liberali nella stagione della giustizia penale euro-vittimocentrica”.
Il convegno prevedeva due sessioni: la prima dal titolo “Nessuno contraddica Abele”, la seconda, “Caino non abbia diritti”. Si stava vivendo la stagione del populismo giudiziario nella sua massima espressione.
Era entrata in vigore la legge che di fatto eliminava la prescrizione, istituto di civiltà giuridica, che aveva in qualche modo svolto, fino a quel momento, la funzione regolatrice del potere punitivo dello Stato.
Avendolo vissuto in prima persona, possiamo dire che è stato un convegno che ha stimolato un dibattito tra studiosi ed operatori del diritto, il cui auspicio era di riuscire a condizionarne proficuamente la prassi applicativa. Un dibattito che, col senno di poi, ha, in parte, anticipato i tempi e di cui non si è saputo coglierne gli spunti.
Oggi, possiamo dire che siamo nel pieno della stagione del diritto penale vittimocentrico con la conseguente soccombenza del diritto penale reocentrico.

Si intenda, l’erosione dei principi di un diritto penale minimo, che veda come sue epicentro l’accusato, è iniziata da tempo.
Oggi, però, siamo in una fase di svolta cruciale, più evoluta, che trova la sua massima espressione nella volontà del legislatore di voler introdurre la “vittima” in Costituzione.

Come noto è infatti, all’esame della Commissione Affari Costituzionali del Senato, il testo del disegno di legge (trattasi di un articolato che ne contiene quattro) di modifica costituzionale, che prevede l’inserimento all’art. 111 Cost. del seguente comma: “ La Repubblica tutela le vittime di reato e le persone danneggiate”.

La ratio di tale intervento costituzionale, come si legge dalle relazioni illustrative ai disegni di legge, sarebbe quella di tutelare maggiormente il soggetto ritenuto più debole, all’interno anche del giusto processo. Non solo.
Si vuole far assumere alla “persona offesa” sempre più un ruolo centrale anche nelle dinamiche repressive (sul punto la relazione illustrativa del ddl n. 888, non sembra lasciare dubbi).
Ebbene, non possono sfuggire, a chi ha applaudito alla stesura ed al varo ufficiale del “Manifesto del Diritto Penale Liberale e del Giusto processo” delle Unioni delle Camere Penali Italiane, le evidenti incongruenze ed i rischi che si annidano in una modifica di tal fatta, per la tenuta dello Stato di Diritto.

In primo luogo, si evidenzia come, nel corso dei decenni, la vittima del reato abbia trovato ampia tutela attraverso i vari interventi del legislatore.
Basti pensare al cd Codice Rosso, all’introduzione delle fattispecie di omicidio e di lesioni stradali, ma anche alla disciplina della giustizia riparativa.
Tutti interventi che vedono, come fulcro ispiratore, la tutela della vittima del reato, verrebbe da dire “senza se e senza ma!”
In altre parole, nel corso degli anni, il paradigma vittimocentrico ha rappresentato una fonte per l’introduzione di nuove fattispecie di reato.

Nell’illusione che, interventi come quelli appena citati, fossero in grado di eliminare l’impunità dello stupratore o del pirata della strada.
Non curandosi, invece, attraverso una perenne propaganda a basso costo che solletica gli istinti più primordiali, di scaricare nel penale semplicemente pulsioni di vendetta, travestite da senso di giustizia.

Queste prime considerazioni possono tranquillamente portarci a concludere che non esiste una concreta necessità di tutelare ulteriormente la vittima del reato, attraverso l’espressa previsione in Costituzione. Ma c’è dell’altro.
Come già ritenuto da autorevoli studiosi, l’introduzione della vittima in Costituzione rischia di alterare fortemente gli equilibri processuali, con il concreto rischio che si passi ad un riconoscimento di fatto della giustizia privata, con conseguente erosione del principi fondanti lo Stato di Diritto.

Non può non rilevarsi, infatti, come in tale prospettiva forte sia il rischio di affidare la gestione dei conflitti derivanti da reato alla vittima, con il conseguente arretramento del diritto penale moderno, caratterizzato da quel connotato di civiltà secondo cui detti conflitti debbano essere di competenza statale.
Non va dimenticato che il diritto penale è la cd Magna Carta del reo e rappresenta lo strumento di accertamento della responsabilità attraverso il rispetto delle garanzie per l’accusato, proprio per frenare aspirazioni vendicative della vittima. D’altra parte soggetto debole della macchina repressiva dello Stato rimane pur sempre l’accusato.
Pertanto, la modifica costituzionale in parola porterebbe con sé il forte rischio di una visione privatizzata della giustizia penale, esponendo il giudice ad una forte carica emotiva.

Va, inoltre, evidenziato che l’introduzione della “vittima in costituzione”, attraverso la modifica dell’art. 111, finirebbe per indebolire la portata precettiva della norma costituzionale, la cui riforma del 1999 aveva come ratio quella di riaffermare in Costituzione i principi del modello accusatorio del giusto processo.
Ebbene, una modifica così come ipotizzata, metterebbe in discussione proprio quei principi per i quali la norma costituzionale era stata ripensata.
Infatti, parlare di “vittima” – prima che vi sia stato un regolare processo finalizzato all’accertamento del reato e delle responsabilità – significa inevitabilmente parlare anche di colpevole.

In altre parole, nel processo l’accusato entra già con la veste di colpevole e ciò non può non suscitare preoccupazioni in punto di presunzione di non colpevolezza.
Tirando le fila di questa nostra riflessione, possiamo dire che la riformulazione costituzionale sia superflua.
Oggi la vittima trova nel nostro ordinamento ampia tutela, senza che vi sia la necessità di un intervento costituzionale.
Intervento che rappresenta solo una mossa propagandistica e semplicistica che però potrebbe avere conseguenze nefaste per l’architettura del nostro sistema penale e delle sue garanzie, già claudicante.
Il rischio è anche quello di identificare l’accusato come il carnefice ed il giudice come un buono o un cattivo giudicante a seconda se sia stato o meno in grado di soddisfare le aspettative private.
Da qui, al ritorno alla legge del taglione, il passo potrebbe essere breve. 

 

*Presidente Camera Penale Ferrarese “Avv. Franco. Romani”
**Responsabile Scuola Territoriale Camera Penale Ferrarese; Responsabile Osservatorio Deontologia UCPI

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