IL PARADIGMA LIBERALE NEL DIRITTO PENALE: UN REQUIEM EVITABILE?

di Francesco Iacopino* –

L’editoriale del n. 0 di Ante Litteram che, in questo primo numero della rivista, è stato riservato al discorso di apertura e d’introduzione dei lavori fatto dall’avv. Francesco Iacopino, Presidente della Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora”, al Convegno Internazionale  “Il paradigma Liberale Nel Diritto Penale: un Requiem  evitabile?”, svoltosi il 17/18 novembre 2023 a Catanzaro.

Buon pomeriggio a tutti!
È con grande entusiasmo e profonda emozione che mi accingo ad aprire i lavori di questa due giorni che ci vedrà impegnati a riflettere su un tema quanto mai attuale e complesso del nostro tempo: la “tenuta” del paradigma liberale nella post modernità. 

A nome mio personale e del Consiglio Direttivo della Camera Penale “Alfredo Cantafora” di Catanzaro saluto le Autorità presenti, i prestigiosi relatori, i vertici dell’Unione delle camere penali – qui rappresentate dal Presidente del Consiglio, dal Presidente della Fondazione UCPI e dal nostro Componente di Giunta –, i Rappresentanti istituzionali dell’Avvocatura, il Presidente Onorario e i Past President, i Presidenti delle Camere Penali territoriali, i componenti degli Osservatori nazionali e territoriali, i Rappresentanti delle associazioni forensi e tutti gli intervenuti. 

La città e l’Avvocatura di Catanzaro accolgono oggi con soddisfazione un evento di così alto respiro che si propone di alimentare e diffondere nella ragione pubblica e nel discorso collettivo i principi del “Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo” licenziato nel 2019 dall’Unione delle Camere Penali e dalla più autorevole Accademia italiana.

Dopo la storica presentazione del nostro pamphlet nell’aula 208 dell’Università statale di Milano, il percorso di presentazione del Manifesto è stato segnato da tappe significative e altamente prestigiose: Chicago, Bologna e da ultimo Barcellona. Permettetemi, con riferimento all’evento inaugurale di Milano, di rivolgere un pensiero commosso alla memoria del professore Filippo Sgubbi, del quale ricordo ancora oggi nitidamente l’appassionato, lucido ed elegante intervento di sabato mattina, 11 maggio, nell’Aula Magna della Statale. A Lui la nostra gratitudine per il raffinato e colto pensiero giuridico che ci ha lasciato in eredità, condensato da ultimo nelle sue “20 tesi” che compongono “il diritto penale totale”.

Dicevo, Chicago, prima tappa internazionale del nostro Manifesto, presentato nella School of Law della Loyola in occasione del X colloquio dei costituzionalisti americani. Quell’evento, la prima mondiale, ha permesso al Manifesto di varcare i confini continentali e di essere apprezzato dai giuristi di ogni continente chiamati a raccolta nella prestigiosa cornice della storica Università americana. Non posso dimenticare le emozioni di quella esperienza, vissuta in rappresentanza dei penalisti italiani, arricchita dalla autorevole presenza alla nostra sessione del decano Barry Sullivan, al quale ho potuto personalmente consegnare il Manifesto. Tutto ciò è stato possibile grazie alla combinazione di due fattori: la fiducia accordatami dall’allora Presidente Gian Domenico Caiazza e la lungimiranza di un docente della nostra UMG, Domenico Bilotti, al quale rinnovo la sincera gratitudine mia e dei penalisti italiani.

A seguire altri due eventi hanno segnato il percorso del Manifesto nella splendida città di Bologna: dapprima, l’incontro di studi nella Sala delle Armi del Dipartimento di Scienze giuridiche dell’Alma Mater, alla presenza di qualificati giuristi latino-americani, e, poi, due giorni di confronto sui temi del diritto penale liberale alla presenza di insigni giuristi europei, nella Sala Bolognini del Convento san Domenico.

Da ultimo, il 4 luglio scorso, il nostro pamphlet è stato presentato nella prestigiosa Reial Acadèmia Europea de Doctors di Barcellona. In quella circostanza ho avuto il privilegio di affiancare il nostro Presidente del Consiglio, Nicola Mazzacuva, che mi ha permesso di sedere al suo fianco, al tavolo dei relatori. L’evento, fortemente voluto dall’Avvocatura e dall’Accademia spagnole, ha rappresentato la ‘prima’ in Europa del Manifesto, alla presenza di Fermin Morales Prats, Ordinario di diritto penale nell’Università Autonoma di Barcellona, che ringrazio vivamente perché oggi ci onora della Sua presenza, di Víctor Moreno Catena, Ordinario di procedura penale nell’Università Carlos III di Madrid e Presidente della Unione degli Avvocati penalisti spagnola, l’Excmo. SE. D. Javier Hernández García, Magistrato della Seconda Sala della Corte Suprema di Cassazione, e del decano Gonzalo Quintero Olivares, Emerito diritto penale nell’Università di Tarragona, già Ordinario nell’Università di Barcellona e di Maiorca, presente ai lavori.

Un’esperienza invero straordinaria e molto stimolante, che ha portato in emersione il vivo apprezzamento anche dei giuristi spagnoli per l’iniziativa assunta dai penalisti italiani.

All’Unione è stato riconosciuto, tanto in America, quanto in Europa, il grande merito di aver realizzato un progetto così ambizioso coagulando le migliori energie dell’Avvocatura e dell’Accademia italiane, così da affidare alla ragione collettiva e al discorso pubblico un pamphlet quanto mai necessario, considerato il contesto storico attuale caratterizzato dalla cronicizzazione della crisi del garantismo penale di matrice liberale.

Ad allora, inserendoci in questo percorso di diffusione dei principi liberali del diritto penale, oggi ancor di più possiamo apprezzare l’alto valore, non solo simbolico, della tappa catanzarese, in un distretto peraltro che ben conosce le fatiche della giurisdizione e ‘il grido d’allarme’ più volte lanciato dall’avvocatura penalista, preoccupata dagli squilibri esistenti nel rapporto tra autorità e libertà e tra le esigenze di difesa sociale e quelle di tutela delle libertà individuali.

Viviamo oggi in una società punitiva e in una democrazia emotiva. Punire è oggi diventata una passione contemporanea, come ci ammonisce il sociologo e antropologo francese Didier Fassin.

In questo quadro storico-culturale, non vi è dubbio che il nostro tempo caratterizzato da un marcato populismo penale segna un arretramento dell’orologio della storia della civiltà del diritto, catapultandoci in una dimensione che Bauman definisce di retrotopìa.

E allora, credo che interrogarci oggi sullo stato di salute del nostro sistema penale e, più in chiaro, sullo stato di crisi del paradigma liberale sia per tutti noi, attori della giurisdizione e accademici, un dovere e al tempo stesso una responsabilità.

Certo, non mi sfuggono le diagnosi infauste di autorevoli studiosi che hanno dichiarato clinicamente morto quel paradigma, annunciando il necrologio del diritto penale liberale. In questa direzione si è pronunciato, anche a Catanzaro, Tullio Padovani: “il diritto penale totale – ha affermato – è il necrologio del diritto penale liberale, il suo de profundis:  è morto, e non c’è speranza di risurrezione. Questa è l’apocalisse”. E anche tra gli studiosi di filosofia del diritto vi è chi ha annunciato “la morte del diritto. Ancora un necrologio”. Mi riferisco al lavoro di William Lucy. Certamente, il “mostro” (come lo chiama Padovani) lo dovremo guardare in faccia allargando l’orizzonte osservazionale ai filosofi del diritto e ai sociologi del diritto (e lo faremo nel prossimo incontro, al quale penseremo da lunedì: rassicuro i mei amici del Direttivo).

C’è speranza? Solo contra spem. Ecco perché occorre coagulare le energie migliori e battersi in difesa dei “nostri” valori, perché ai valori non si rinuncia mai, nemmeno quando si è consci che la battaglia è perduta. Ecco perché oggi, dall’angolo visuale degli studiosi del diritto penale, è necessario che avvocati, magistrati e accademici non si arrendano all’illusione liberale e al tramonto di quel paradigma, profondendo ogni energia perché la crisi del modello liberale possa essere dichiarata reversibile.

È vero, il divario esistente tra il sistema normativo delle garanzie e l’effettivo funzionamento del pensiero punitivo sembra difficilmente ricucibile. Come ci ha ricordato già Norberto Bobbio agli albori di questo nuovo secolo la forbice “tra ciò che il diritto è e ciò che deve essere, all’interno di un medesimo ordinamento giuridico” sembra destinata ad allargarsi sempre di più. Il problema è culturale e segna una diastasi tra la costituzione materiale e quella formale.

Ed è proprio su questa progressiva divaricazione tra effettività e normatività delle norme penali e sullo scostamento dal loro modello costituzionale che si è sviluppata la riflessione dottrinale sulla crisi del garantismo del diritto penale.

Come ci insegna Luigi Ferrajoli, si tratta di una crisi che registra “uno svuotamento progressivo di tutte le garanzie sostanziali e processuali e una crescente amministrativizzazione del diritto penale liberale”.

Il sistema punitivo è sempre di più incentrato su reati di pericolo, nonché su misure di sicurezza e di prevenzione. Il processo non è più luogo di accertamento del fatto e delle responsabilità, ma strumento di lotta e repressione, mentre la esecuzione della pena tende a smarrire ogni collegamento con la gravità della violazione e con la sua finalità rieducativa. Francesco Petrelli nella sua “Critica alla retorica giustizialista” denuncia la “riserva di carcere “ e il “feticismo carcerario”.

Certo, a nessuno è consentito dubitare della irrinunciabile necessità che lo Stato difenda se stesso ed i propri cittadini dalla aggressione terroristica, dalla soffocante pervasività mafiosa in intere aree geografiche del Paese, come la nostra, e dalla diffusa propensione corruttiva nella politica e nella pubblica amministrazione. Ma altrettanto certo è che tali primari scopi di politica criminale debbono essere perseguiti, in uno Stato di diritto, senza alterare gli equilibri costituzionali che regolano il cruciale rapporto tra potere coercitivo e diritti fondamentali della persona, né la separazione dei poteri.

Siamo oramai assuefatti alla stabilizzazione del processo degenerativo dei fondamentali principi dello Stato di diritto e della conseguente crisi del garantismo penale. Tant’è vero che è ormai esplicita e politicamente rivendicata l’aggressione ai principi costituzionali della presunzione di non colpevolezza, della eccezionalità della privazione della libertà personale che non segua alla esecuzione della pena, della tipicità, determinatezza ed irretroattività del precetto penale, della finalità rieducativa della pena, oltre che della sua proporzionalità ed adeguatezza alla gravità della violazione commessa.

Ecco perché i penalisti italiani hanno inteso lanciare con forza un grido di allarme permanente, nella convinzione che quei principi costitutivi del nostro patto sociale siano più ignorati che reietti, più fraintesi che consapevolmente avversati, come puntualmente la nostra quotidiana esperienza professionale ci dà conferma ogni qual volta il cittadino vive sulla propria pelle la indispensabile e salvifica forza delle garanzie.

Vi è un’attribuzione di significato non rinunciabile al sintagma “diritto penale”: quella che pone l’accento sul primo termine –diritto a scapito di una prevalenza della funzione del punire.

La storia giudicherà il nostro tempo e anche l’impegno che ciascuno di noi avrà speso a servizio dei valori non negoziabili della civiltà del diritto, oggettivamente sotto attacco. Come scrive Glauco Giostra “non possiamo più consolarci del fatto di sedere dalla parte della minoranza, quella giusta, quella garantista”. Non basta.

Occorre, dunque, recuperare un linguaggio giuridico comune, un idem sentire, sia nella giurisdizione che con l’accademia, e unire gli sforzi per difendere i principi fondamentali scolpiti nelle nostre carte costituzionali e diffonderne la conoscenza e con essa il necessario confronto e dibattito pubblico.

In questa direzione il “Manifesto” rappresenta oggi uno strumento elettivo per dare forma a questo progetto ambizioso, che intende innanzitutto fare chiarezza su quelle idee e sulla loro corretta declinazione all’interno della stessa comunità dei giuristi italiani, per poi farne lievito, alimento della ragione, linfa vitale per la crescita civile e democratica del nostro Paese.

Ecco che, allora, anche in vista di questo traguardo, l’evento di oggi potrà essere utile dosaggio terapeutico per rinsaldare i tessuti del modello liberale del diritto penale quale valore non negoziabile della nostra civiltà del diritto e, se posso prendere a prestito le riflessioni di Vincenzo Maiello, per coagulare le energie migliori del nostro tempo affinché al diritto penale di lotta si reagisca con una lotta per il diritto.
Vi ringrazio e auguro ai relatori un buon lavoro.

 

*Presidente Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora”

 

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