LA PRESCRIZIONE. TRA LA RIFORMA ORLANDO E LA NUOVA RIFORMA CARTABIA

Redatto da Sara Spanò Ernesto Ruggiero e Mariada Megna –  

LA NORMA
L’articolo 157 c.p. prevede: “La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante.
Non si applicano le disposizioni dell’articolo 69 c.p. e il tempo necessario a prescrivere è determinato a norma del secondo comma.

Quando per il reato la legge stabilisce congiuntamente o alternativamente la pena detentiva e la pena pecuniaria, per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo soltanto alla pena detentiva.
Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni.
I termini di cui ai commi che precedono sono raddoppiati per i reati di cui agli articoli 375 terzo comma, 449 e 589, secondo e terzo comma, e 589 bis, nonché per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale. I termini di cui ai commi che precedono sono altresì raddoppiati per i delitti di cui al titolo VI-bis del libro secondo, per il reato di cui all’articolo 572 e per i reati di cui alla sezione I del capo III del titolo XII del libro II e di cui agli articoli 609 bis,609 quater, 609 quinquies e 609 octies salvo che risulti la sussistenza delle circostanze attenuanti contemplate dal terzo comma dell’articolo 609 bis ovvero dal quarto comma dell’articolo 609 quater.
La prescrizione è sempre espressamente rinunciabile dall’imputato.
La prescrizione non estingue i reati per i quali la legge prevede la pena dell’ergastolo, anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti”.

RATIO LEGIS
L’istituto della prescrizione trova la propria ratio nel cosiddetto principio di economia dei sistemi giudiziari, nonché nell’esigenza di garantire un effettivo diritto di difesa all’imputato. Infatti, la prescrizione è considerata la più importante causa di estinzione del reato, in quanto strettamente correlata al decorso del tempo atto ad affievolire la necessità e l’interesse in capo allo Stato di punire penalmente un fatto previsto dalla legge come reato.

Al contempo poi, in linea con quanto previsto in materia di equo processo dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, viene considerata rilevante la durata non troppo eccessiva del processo, così che la prescrizione rappresenta lo strumento per evitare abusi da parte del sistema giudiziario.
Ne discende, quindi, che maggiore è il tempo impiegato per reprimere le condotte antigiuridiche, minore sarà l’esigenza di una tutela penale, nel pieno rispetto della concezione rieducativa della pena.

COME SI CALCOLA LA PRESCRIZIONE?
Per calcolare il tempo necessario ai fini della prescrizione di un dato reato si deve fare riferimento al massimo della pena edittale prevista a norma del Codice Penale.

In relazione a quanto detto, è opportuno fare una distinzione: per i delitti il termine minimo di prescrizione è di sei anni, invece, per le contravvenzioni il termine minimo è di quattro anni.
I reati puniti con l’ergastolo non sono suscettibili di prescrizione e inoltre, il termine massimo di sei anni viene raddoppiato nel caso di alcuni delitti considerati gravi dall’ordinamento ed elencati nel comma 6 dell’art 157 c.p. Come ad esempio, il reato di violenza sessuale o di maltrattamenti in famiglia il termine massimo di prescrizione viene raddoppiato.

Ad ogni modo, per comprendere al meglio tale calcolo, a titolo esemplificativo, si può fare riferimento al reato di furto, previsto ai sensi dell’art. 624 c.p.
In tal caso, al primo comma, viene previsto “Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 154 euro a 516 euro”.
Ebbene, innanzitutto, si parla di un delitto, ove è prevista una reclusione da sei mesi a tre anni. A mente di ciò, come precedentemente accennato, in caso di delitti, il termine minimo di prescrizione – nonostante il massimo della pena edittale prevista a norma dell’art. 624 c.p. è di tre anni – deve essere considerato nella misura di sei anni e pertanto la prescrizione massima per il reato di furto sarà sei anni e non tre anni.
Tuttavia, possono verificarsi degli atti interruttivi suscettibili di far ripartire la decorrenza del termine di prescrizione che, in ogni caso, non può superare la soglia massima pari ad un ¼ del periodo prescrizionale.
Chiaro è che non vi possono essere infiniti atti interruttivi, altrimenti il reato non andrebbe mai in prescrizione.
Nel caso in cui, invece, siano presenti delle circostanze attenuanti ovvero circostanze aggravanti, di queste non si deve tenere assolutamente conto, a meno che non vi siano delle circostanze aggravanti speciali o ad effetto speciale.

TABELLA ESEMPLIFICATIVA DEI TEMPI NECESSARI AL CALCOLO DELLA PRESCRIZIONE RELATIVAMENTE AL DELITTO DI FURTO ED ALLE SUE CIRCOSTANZE AGGRAVANTI E ATTENUANTI.

REATO PRESCRIZIONE
ORDINARIA
PRESCRIZIONE
MASSIMA
PRESCRIZIONE MASSIMA IN
CASO DI RECIDIVA AGGRAVATA
PRESCRIZIONE MASSIMA IN CASO DI RECIDIVA REITERATA PRESCRIZIONE MASSIMA PER DELIQUENTI ABITUALI E PROFESSIONALI
Art.624 c.p.
(furto)
6 anni 7 anni e 6 mesi 9 anni 10 anni 12 anni
Art.624-bis c.p. (furto in abitazione e furto con strappo) 7 anni 8 anni e 9 mesi 15 anni e 9 mesi 17 anni e 6 mesi 14 anni
Art.625 c.p. (circostanze aggravanti) 6 anni 7 anni e 6 mesi 13 anni e 6 mesi 15 anni 12 anni
Art.625-bis c.p.(Circostanze attenuanti) La norma non prevede un fatto reato La norma non prevede un fatto reato La norma non prevede un fatto reato La norma non prevede un fatto reato La norma non prevede un fatto reato
Art.626 c.p. (furti punibili a querela dell’offeso) 6 anni 7 anni e 6 mesi 9 anni 10 anni 12     anni

COSA SI INTENDE PER INTERRUZIONE E SOSPENSIONE?
L’interruzione: è la manifestazione, da parte dell’Autorità giudiziaria, di interrompere l’inerzia posta a fondamento dell’istituto della prescrizione.
A norma dell’art. 160 c.p., l’interruzione deriva:
• Dall’ordinanza che applica le misure cautelari personali;
• Dall’ordinanza di convalida del fermo o dell’arresto;
Dall’interrogatorio reso davanti al pubblico ministero o al giudice;
• Dall’interrogatorio reso a polizia giudiziaria su delega del pubblico ministero;
• Dall’invito a presentarsi al pubblico ministero per rendere l’interrogatorio;
• Dal provvedimento del giudice di fissazione dell’udienza in camera di consiglio per la decisione sulla richiesta di archiviazione;
• Dalla richiesta di rinvio a giudizio;
• Dal decreto di fissazione dell’udienza preliminare;
• Dall’ordinanza che dispone il giudizio abbreviato;
• Dal decreto di fissazione dell’udienza per la decisione sulla richiesta di applicazione della pena;
• Dalla presentazione o la citazione per il giudizio direttissimo;
• Dal decreto che dispone il giudizio immediato;
• Dal decreto che dispone il giudizio;
• Dal decreto di citazione a giudizio.

È bene precisare come, una volta che sia stata interrotta, la prescrizione comincia a decorrere da capo dal giorno dell’interruzione, di talché il tempo trascorso in precedenza rimarrà privo di effetti.
Invece, per sospensione del termine necessario alla prescrizione si intende: l’effetto giuridico prodotto da determinati accadimenti endoprocessuali, ovvero esterni al procedimento, che arrestano lo scorrere del tempo necessario affinché il reato possa essere dichiarato estinto per intervenuta prescrizione.
L’effetto della sospensione è quello di congelare il tempo trascorso al verificarsi di una delle cause previste per far si che il termine ricominci a decorrere dal giorno della cessazione della causa di sospensione.
Il corso della prescrizione rimane sospeso in ogni caso in cui la sospensione del procedimento o del processo penale o dei termini di custodia cautelare è imposta da una particolare disposizione di legge, oltre che nei casi di:
1) autorizzazione a procedere;
2) deferimento della questione ad altro giudizio;
3) sospensione del procedimento o del processo penale per ragioni di impedimento delle parti e dei difensori ovvero su richiesta dell’imputato o del suo difensore.
In caso di sospensione del processo per impedimento delle parti o dei difensori, l’udienza non può essere differita oltre il sessantesimo giorno successivo alla prevedibile cessazione dell’impedimento, dovendosi avere riguardo in caso contrario al tempo dell’impedimento aumentato di sessanta giorni. Sono fatte salve le facoltà previste dall’articolo 71, commi 1 e 5, del codice di procedura penale;
3 bis) sospensione del procedimento penale ai sensi dell’articolo 420quater del codice di procedura penale.
Nel caso di autorizzazione a procedere, la sospensione del corso della prescrizione si verifica dal momento in cui il pubblico ministero presenta la richiesta e il corso della prescrizione riprende dal giorno in cui l’autorità competente accoglie la richiesta.
La prescrizione riprende il suo corso dal giorno in cui è cessata la causa della sospensione.
Nel caso di sospensione del procedimento ai sensi dell’articolo 420quater del codice di procedura penale, la durata della sospensione della prescrizione del reato non può superare i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 161 c.p.

COSA CAMBIA CON LA RIFORMA CARTABIA?
La riforma Cartabia non interviene sui tempi necessari a prescrivere e, difatti, rispetto alla precedente riforma Bonafede, non altera nemmeno la decorrenza del termine.

Ciò che muta, semmai, sono le cause di sospensione che, peraltro, possono influire in maniera rilevante nel tentativo di prolungare i termini processuali.
La sospensione determina, infatti, un temporaneo congelamento del termine di prescrizione, che cessa di decorrere nel momento in cui si verificano determinati eventi giuridici e riprende a decorrere nel momento in cui tali fatti terminano.
Con la riforma Bonafede, dopo la sentenza di primo grado (condanna o assoluzione), la prescrizione rimaneva sospesa fino al passaggio in giudicato del provvedimento che definiva il processo. In altri termini, la prescrizione cessava di decorrere in modo definitivo con la pronuncia del decreto di condanna o con l’assoluzione in primo grado.
A seguito dell’entrata in vigore della riforma Cartabia, invece, viene abrogata la disposizione della riforma Bonafede con cui la sentenza di primo grado sospendeva la prescrizione sino alla conclusione del processo.
In aggiunta a ciò, il provvedimento crea una nuova categoria giuridica, la c.d. cessazione della prescrizione
, che realizza lo stesso effetto pratico: dopo la sentenza di primo grado (e dunque non anche il decreto penale di condanna che, pertanto, ritorna ad essere una sola causa di interruzione), sia essa di condanna o di assoluzione, il corso della prescrizione cessa definitivamente, abbandonando l’approccio di una sospensione sine die.
La riforma non interviene, infine, sulla disciplina della interruzione, ovvero su quei fatti che “azzerano” la decorrenza dei termini di prescrizione. Rimangono altresì invariati i limiti finali agli aumenti per l’interruzione, che – per esempio – per i soggetti incensurati sono pari a un quarto del tempo necessario a prescrivere.

NOVITÀ DELLA RIFORMA: L’IMPROCEDIBILITÀ EX ART. 344-BIS C.P.P.
L’improcedibilità, a seguito della riforma Cartabia, ha subito un’interessante innovazione attraverso l’introduzione, nel nostro ordinamento, di una nuova causa di improcedibilità nell’art. 344-bis del Codice di procedura penale, concepita per scongiurare il rischio che, una volta emessa la sentenza di primo grado e – dunque – cessato il decorso della prescrizione, l’imputato possa rimanere a lungo imprigionato nei vari gradi successivi.
A tal fine, secondo la nuova disposizione, i giudizi di impugnazione (Appello e Cassazione) devono concludersi entro termini prestabiliti, pena l’improcedibilità dell’azione penale e, in sostanza, la chiusura del processo.

I tempi stabiliti dalla riforma Cartabia sono pari a due anni, decorrenti novantesimo giorno successivo alla scadenza dei termini di deposito della sentenza nel grado precedente per il giudizio di appello, e a un anno – con identica decorrenza – per il giudizio in Cassazione.
A titolo esemplificativo: se Tizio viene condannato in primo grado alla pena di anni 3 e mesi 4 di reclusione con sentenza depositata il 30 marzo 2023, l’improcedibilità dell’azione penale inizierà a decorrere il 30 giugno 2023 trascorsi 90 giorni dal deposito della sentenza.
Quindi, se l’udienza di trattazione della causa in appello verrà fissata oltre la data del 30 giugno 2025, il difensore dell’imputato, in udienza ovvero mediante note di trattazione scritta – come da prassi –, potrà eccepire, oltre ai motivi già dedotti nell’atto di appello e agli eventuali nuovi motivi, l’improcedibilità dell’azione penale.
È, altresì, previsto che l’improcedibilità possa essere rinunciata da parte dell’imputato, che può volontariamente optare di farsi giudicare in ogni caso, salvo il caso si tratti di reati puniti dal Codice penale con l’ergastolo.

Per consentire alle Corti il tempo di adeguarsi alla riforma, fino a 31 dicembre 2024 è in vigore un regime transitorio in cui i termini di cui sopra sono aumentati di tre anni per l’appello e un anno e sei mesi per la Cassazione.

INFORMATIVA PROVVISORIA DEL 17 DICEMBRE 2015 A SEGUITO DI PROVVEDIMENTO RIMESSO ALLE SEZIONI UNITE CON L’ORDINANZA DELLA SECONDA SEZ. PENALE, IN DATA 18 GIUGNO 2015 N. 28790.
La Cassazione non può dichiarare la prescrizione non rilevata in appello e non eccepita con un successivo ricorso inammissibile.

Alle Sezioni Unite veniva sottoposto il seguente quesito:
La Corte di Cassazione adita con ricorso inammissibile può dichiarare la prescrizione del reato intervenuta prima della sentenza di appello, ma non rilevata e né eccepita in quella sede o nei motivi di ricorso?
Secondo l’informativa provvisoria, al quesito in esame la Suprema Corte dava soluzione negativa, adottando la seguente testuale precisazione: ”il ricorso non può considerarsi inammissibile se con esso viene dedotta – anche se con un unico motivo – l’intervenuta prescrizione del reato maturata prima della sentenza di appello”.

Questa pronuncia evidenzia l’importanza di valutare sempre la questione della prescrizione del reato, poiché essa può influire significativamente sull’esito del procedimento, impedendo che un imputato sia giudicato per un reato ormai prescritto.
Pertanto, ciò che rileva è che un ricorso non può essere dichiarato inammissibile se, tra i motivi, viene sollevata la questione della prescrizione del reato, purché tale prescrizione sia maturata prima della sentenza di appello, anche se questa questione è eccepita con un unico motivo di gravame.
Segnatamente, un ricorso contro una sentenza non può essere dichiarato a priori inammissibile solo perché i motivi potrebbero sembrare insufficienti o mal presentati, a patto che tra questi motivi ci sia la questione della prescrizione.
È lapalissiano ritenere che la prescrizione del reato deve essere maturata prima della sentenza di appello.

Ciò stante, anche se il ricorso è basato su un solo motivo, ma riguarda il tema della prescrizione del reato, in tal caso deve essere considerato ammissibile.

Fonti:
Brocardi.it
www.diritto.it
www.altalex.com
Alessandro Bastianello: “Guida pratica alla prescrizione penale”, Giuffré Editore 2021.

Angelo Salerno: “il Sistema del Diritto Penale”, Riv. Bimestrale, Dike Giuridica, 2023-2024.
Cassazione Penale, Sezioni Unite, informativa provvisoria del 17 dicembre 2015, Pres. Santacroce, Relatore Milo, Ric. Ricci.

 

 

 

 

 

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