Osservatorio Carcere – Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora” –
In data 26 gennaio 2024 la Corte Costituzionale con Sentenza n. 10/2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975 n. 354 per la mancata previsione di modalità per l’esercizio dell’affettività tra il detenuto ed il coniuge o il convivente. La questione sottoposta all’attenzione della Corte Costituzionale ha abbrivio dall’ordinanza di rimessione n. 2023/23 del Tribunale di Sorveglianza di Spoleto emessa a seguito del reclamo presentato da un detenuto presso la Casa Circondariale di Terni.
Costui ha evidenziato di essere ristretto in esecuzione di ordine di carcerazione dal 11.07.2019 con fine pena previsto per il 10.04.2026, di non poter beneficiare, a causa di alcune infrazioni, di permessi premio di un programma di trattamento in suo favore e per tali ragioni lamentava le difficoltà nel mantenere, migliorare e ristabilire le relazioni familiari, potendo svolgere unicamente colloqui visivi con la propria compagna e con la figlia minore di anni tre.
Il detenuto, invero, rappresentava che in occasione di tali colloqui non aveva modo di esercitare il proprio diritto all’affettività, non potendo usufruire di spazi adeguati ed essendovi un controllo a vista da parte del personale della Polizia Penitenziaria.
Ciò determinava un serio pregiudizio per il sereno sviluppo della relazione di coppia e per la tutela del diritto alla genitorialità a cui il reclamante attribuiva particolare rilievo in funzione del futuro reinserimento sociale.
Effettivamente il Tribunale di Sorveglianza di Spoleto nella propria ordinanza di rimessione ha accertato che la condizione detentiva si traduceva in un vero e proprio divieto all’esercizio dell’affettività in una dimensione riservata ed in particolare della sessualità con il partner anche perché i colloqui visivi con i familiari sono svolti con il controllo a vista del personale dell’istituto di detenzione, così come previsto dall’art. 18 comma 3 dell’ordinamento penitenziario.
Previsione, quella del controllo visivo, del tutto inidonea ad assicurare l’esercizio dell’affettività, compresa la sessualità, nel rispetto della riservatezza da riconoscere anche nel contesto della detenzione carceraria.
Peraltro, il Tribunale di sorveglianza di Spoleto, nel sollevare la questione di illegittimità Costituzionale per contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 4, 27 comma 3, 29, 30, 31, 32 e 117 comma 1 della Costituzione, ha evidenziato che già in passato la Corte Costituzionale si era occupata di analoga doglianza avanzata dal Tribunale di Sorveglianza di Firenze ed in tale occasione si era pronunciata dichiarandone l’inammissibilità (sentenza n. 301 del 2012) ritenendo che il diritto alla sessualità poteva essere garantito attraverso la concessione di permessi premio, ravvisando che l’esigenza prospettata era da considerare “reale e fortemente avvertita”, tanto da invitare il Legislatore, rimasto inerte, ad intervenire, anche alla luce di indirizzi giurisprudenziali derivati dalle fonti sovranazionali.
In realtà il Tribunale di Sorveglianza di Spoleto nell’ordinanza di rimessione ha precisato che la circostanza di poter usufruire di permessi premio in realtà non affronta la problematica sottesa, quanto piuttosto determina uno spostamento dell’esercizio di un diritto fondamentale della persona verso l’orizzonte della premialità, che rappresenta carattere di eccezionalità rispetto al diritto alla sessualità, il cui effettivo esercizio non può essere neppure garantito con l’istituto del permesso per gravi motivi di cui all’art. 30 dell’ordinamento penitenziario, concedibile soltanto in casi stringenti ed eccezionali che non prevedono l’esercizio della sessualità.
Ha rappresentato, dunque, il Tribunale di Sorveglianza che nel caso specifico l’interessato era un soggetto ristretto in media sicurezza, che non ha commesso reati che lo descrivano come collegato ad organizzazioni criminali, non era sottoposto a controllo visivo e auditivo, la sua corrispondenza non era controllata e, dunque, si è ravvisato che inibizione dei contatti intimi con la compagna non poteva incidere, aumentandolo, sul livello di sicurezza per la collettività.
Alquanto diverso dall’ipotesi del detenuto sottoposto al 41-bis O.P. per il quale le limitazioni all’esercizio del diritto all’affettività sono rese necessarie proprio per scongiurare il pericolo della veicolazione di messaggi illeciti o direttive verso l’esterno, tanto da richiedere la video registrazione dei colloqui con evidente compressione nell’esercizio della sfera di riservatezza.
Consegue che l’indifferenziato divieto di svolgere colloqui intimi è da intendere in contrasto sia con la protezione della famiglia pregiudicando i rapporti di coppia, perché compromette il diritto alla genitorialità, vanifica l’attuazione effettiva del principio di rieducazione prescritto dall’art. 27 della Costituzione e contrasta con la tutela dei diritti fondamentali della persona per come riconosciuti dall’art. 8 del CEDU, secondo il quale ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare attuato in molti paesi europei, anche, attraverso le visite coniugali ai detenuti.
D’altra parte il Tribunale di Sorveglianza nella sua ordinanza ha denotato lo stringente contrasto con la normativa prevista dall’ordinamento penitenziario minorile che favorisce le relazioni affettive, garantendo visite prolungate in unità abitative appositamente attrezzate all’interno degli istituti, in grado di riprodurre, per quanto possibile un ambiente familiare, tanto da ravvisare una irragionevole disparità di trattamento tra quanto attuato negli istituti penitenziari minorili ed in quelli per gli adulti.
La valenza dell’articolato tessuto normativo, giurisprudenziale e argomentativo espresso dal Tribunale di Sorveglianza di Spoleto è stato riconosciuto totalmente fondato, tanto da indurre la Corte Costituzionale, con una sentenza storica per il nostro Ordinamento, a dichiarare “l’illegittimità costituzionale dell’art. 18 della legge 26 luglio 1975 n. 354 nella parte in cui non prevede che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell’unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia, quando, tenuto conto del comportamento della persona detenuta in carcere, non ostino ragioni di sicurezza o esigenze di mantenimento dell’ordine e della disciplina, né, riguardo all’imputato, ragioni giudiziarie”.
Motiva al riguardo la Consulta che lo stato di detenzione non può annullare l’esercizio della libertà di vivere pienamente il sentimento di affetto e che la prescrizione del controllo visivo durante lo svolgimento dei colloqui con le persone legate al detenuto da stabile relazione affettiva, si risolve in una compressione sproporzionata ed in un sacrificio irragionevole della dignità della persona in violazione dell’art. 3 della Costituzione che si ripercuote, anche, sui familiari non detenuti che indirettamente subiscono il pregiudizio indotto da una normativa stringente e non necessaria.
Così come, l’impossibilità di esprimere una normale affettività determina una violazione dell’art. 27 della Costituzione, in quanto una pena che impedisce al condannato di esercitarla nel corso dei colloqui con i familiari rischia di rivelarsi inidonea alla finalità rieducativa.
Ha chiosato, in ultimo la Corte il riconoscimento del diritto all’esercizio dell’affettività richiede l’esercizio di notevoli sforzi nella gestione ed organizzazione degli istituti penitenziari, dovendo le strutture adeguarsi alla esigenza relazionale fronteggiando, altresì, all’irrisolto problema del sovraffollamento degli istituti di pena.
In conclusione, può dirsi che la sentenza è sicuramente apprezzabile per aver riconosciuto il diritto all’affettività e quello al suo esercizio quale strumento per l’attuazione della tutela dei diritti dell’uomo, concorrente alla piena attuazione dei principi di eguaglianza e di rieducazione previsti dagli art. 3 e 27 della Costituzione, senza poter – e per ovvie ragioni – risolvere il tema della sua concreta attuazione, fortemente condizionato non soltanto da vincoli architettonici, ma anche dalla nota carenza di personale, dalla cronica condizione di sovraffollamento in cui versano i ristretti ed in assenza di norme di diritto positivo poste a presidio all’attuazione dell’affettività.
Elevato, quindi, il rischio che queste criticità determini condizioni trattamentali differenti tra gli istituti di pena se non anche la totale inattuazione della tutela del diritto da ultimo riconosciuto dalla Corte Costituzionale.
Il Direttivo della Camera Penale di Catanzaro “A. Cantàfora”
Il referente dell’Osservatorio esecuzione pena e carcere
Avv. Orlando Sapia
I responsabili dell’Osservatorio esecuzione pena e carcere
Avv. Piero Mancuso e Avv. Vincenzo Galeota
I componenti dell’osservatorio Esecuzione pena e carcere, redattori dell’articolo
Avv.to Alessandra Coppolino, Dott. Antonio Mungo e Dott.ssa Angela Amato