USURA E REATI “A DUPLICE SCHEMA”: QUANDO IL TENTATIVO È GIÀ CONSUMAZIONE. UN MODELLO ALTERNATIVO È POSSIBILE?

di Pietro Luigi Riillo* –

SOMMARIO: 1. Natura, connotati e struttura oggettiva della fattispecie – 2. Il tentativo – 3. Un modello alternativo – 4. La replicabilità del modello nelle fattispecie corruttive, ma non in quella concussiva o di induzione indebita ex art. 319 quater c.p. – 5. Conclusioni.

 

1. Natura, connotati e struttura oggettiva della fattispecie

Il reato di usura, disciplinato all’art. 644 c.p., può essere delineato attraverso due aspetti caratterizzanti: il primo relativo alla fissazione di una soglia legale oltre la quale è da ritenersi integrata la presunzione di usurareità del tasso; il secondo, invece, concerne l’eliminazione – attraverso l’iter riformatore degli anni ‘90 – del requisito dell’approfittamento dello stato di bisogno del soggetto passivo (e delle sue condizioni di difficoltà economiche), rinvenibile ora nella circostanza aggravante di cui all’art. 644, comma 5, n. 3, c.p.

La norma punisce chiunque “si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità[i], interessi o altri vantaggi usurari”.

Prima dell’entrata in vigore della L. 7 marzo 1996 n. 108, dottrina e giurisprudenza fissavano la consumazione del delitto di usura attraverso la “stipula” dell’accordo usurario[ii]. L’effettivo versamento degli interessi, d’altra parte, rappresentava una (eventuale) consecutio post-factum.

Di diverso avviso – a seguito dell’introduzione dell’art. 644-ter c.p.[iii] – la giurisprudenza formatasi in ordine al momento consumativo della fattispecie. Difatti, qualora alla promessa seguisse poi una dazione “effettiva” (anche se rateale), quest’ultima – in quanto porzione del fatto – deve essere considerata parte integrante della fattispecie concreta[iv].

Alla luce di ciò, parrebbe giustificata l’adozione dottrinal-giurisprudenziale circa la natura a duplice schema del delitto in esame, potendosi configurare sia un “modello unitario” della condotta, allorquando alla promessa di versare interessi o vantaggi usurari (ed alla relativa accettazione) non seguisse la dazione vera e propria, e sia attraverso il modello “a condotta frazionata” (di natura eventuale), incidente sul calcolo della prescrizione e, conseguentemente, pure in ordine al tempus commissi delicti[v].

Sul medesimo schema distintivo si incastona, altresì, la duplice natura di reato di pericolo o di danno della fattispecie in esame. La struttura oggettiva del reato, difatti, alla luce del proprio carattere mutevole, fa dipendere la propria realtà naturalistica in ordine alla possibilità che la condotta si sia limitata alla sola accettazione della promessa da parte dell’agente (in tal caso ci si troverebbe di fronte ad un reato di pericolo), o all’eventualità che, dopo l’accettazione della promessa, sia avvenuta la dazione vera e propria (in un’unica soluzione o ratealmente), di tal guisa si avrebbe la tramutazione, post-factum, in reato di danno.

Il legislatore, pertanto, ha scelto di punire già la fase (strumentale) della stipulazione dell’accordo, quale momento perfezionante la fattispecie, a nulla rilevando, in termini di punibilità, se ad essa seguisse (o addirittura potesse seguire), la dazione economica vera e propria.

Il disvalore perseguito dalla norma risiede, dunque, semplicemente nella dazione o nell’accordo di corrispondere interessi o vantaggi usurari, supportato sul piano soggettivo dalla consapevolezza (dolo generico) dell’agente di superare il tasso soglia stabilito dalla legge (usura “in astratto”) o dalla sproporzione tra la prestazione fornita e la controprestazione richiesta (usura “in concreto”). Questo avviene a prescindere dall’iniziativa del reo nel promuovere l’operazione illecita di finanziamento e dall’eventuale accettazione volontaria delle condizioni usurarie da parte della vittima.

Più articolato appare, peraltro, eseguire una ricognizione in ordine al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Non è univoco, difatti, capire quale sia il bene che la norma ha inteso porre alla sua tutela anticipata. Sul punto, la questione non ha trovato soddisfacimento neppure a seguito della riforma del 1996.

Secondo un orientamento dottrinale prevalente, occorre ritenere come il bene giuridico non debba individuarsi nel patrimonio individuale della persona – fisica o giuridica[vi] che sia – bensì nella tutela del mercato creditizio[vii] o, in alternativa, nella correttezza dei rapporti economici[viii] o delle obbligazioni nascenti dai rapporti di credito al fine di porre un limite al costo del denaro[ix].

Inoltre, prendendo le mosse dal testo normativo dell’art. 644 c.p., la Corte di Cassazione, Sez. II, ha osservato[x] come “ai fini dell’integrazione del delitto di usura non è richiesta una condotta induttiva da parte di chi pone in essere la condotta usuraria, rilevando unicamente l’usurareità oggettiva delle condizioni pattuite”. All’interno del provvedimento dei giudici di legittimità, è stato pertanto escluso che ai fini dell’integrazione dell’elemento oggettivo della fattispecie, ricorra la necessità che il soggetto agente debba realizzare una qualche condotta “preparatoria” di natura induttiva, neppure di tipo intimidatorio[xi]. Di tal guisa, è l’accordo tra le parti a rappresentare l’elemento costitutivo della fattispecie. Sul punto, il Supremo Consesso – nella medesima pronuncia – teneva a precisare come “il nucleo essenziale dell’elemento oggettivo consiste ora nel «farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità»” e che “nonostante il fatto che la formulazione legislativa «si fa dare o promettere» sembri presupporre l’iniziativa dell’usuraio, non rileva neppure il fatto che l’iniziativa di dare il via alla negoziazione usuraria sia stata presa dal soggetto che ha necessità del prestito”. Pertanto, esclusa dalla condotta tipica ogni genere di attività “pre-contrattuale” – l’attuale struttura oggettiva del reato di usura si sviluppa attraverso diverse fasi, alcune delle quali penalmente irrilevanti ed altre, invece, determinanti l’effettiva consumazione del reato.

  1.  La fase preliminare può consistere sia nell’attività di procacciamento – ossia nella ricerca attiva del soggetto agente, disposto a concedere denaro a condizioni usurarie – e sia nell’attività di ricerca del capitale a interessi usurari da parte del “soggetto debole” del contratto. Tali attività, pur essendo potenzialmente sintomatiche di un contesto illecito, non hanno rilevanza penale diretta, sebbene possano giustificare l’applicazione di misure di sicurezza nei confronti del soggetto agente.
  2. Successivamente, si verifica la fase della trattativa, nella quale le parti avviano un negoziato circa le condizioni del contratto usurario. Anche in questa fase, l’ordinamento non attribuisce rilevanza penale alla condotta, trattandosi di una mera negoziazione priva di effetti giuridici vincolanti, fatta sempre salva l’applicabilità di misure di sicurezza nei confronti dell’agente.
  3. La successiva fase della promessa, invece, prevede la formulazione espressa (o implicita) dell’impegno, da parte del soggetto passivo, a corrispondere interessi o vantaggi usurari. Tale fattispecie non è penalmente rilevante (poiché posta in essere dal soggetto passivo), ma rappresenta il presupposto (crono)logico ai fini della realizzazione della successiva fase integrativa.
  4. La fase dell’accettazione, nella quale il soggetto attivo accetta la promessa. A partire da questo momento, nell’attuale schema vigente, il reato si considera consumato, acquisendo piena rilevanza penale.
  5. Infine, l’eventuale fase della dazione, si verifica col pagamento delle somme (o delle utilità) pattuite in favore del soggetto attivo. Questo evento, sebbene successivo all’integrazione formale del reato, determina un’ulteriore fase di consumazione del delitto (da ciò il “duplice schema” del reato in esame). La sussistenza di quest’ultima fase incidentale, difatti, muta la fattispecie concreta da reato di pericolo a reato di danno e da reato a consumazione istantanea a reato a consumazione frazionata, estendendo così il periodo di rilevanza penale della condotta.

Ciò rilevato, lo schema oggettivo vigente della fattispecie in parola, risulta costituita da due condotte autonome ma necessariamente consequenziali, destinate, strutturalmente, l’una ad assorbire l’altra attraverso l’esecuzione della pattuizione usuraria. La condotta, infatti, “si perfeziona o con la sola accettazione della promessa degli interessi o degli altri vantaggi usurari, non seguita dalla effettiva dazione degli stessi, ovvero, quando questa segua, con l’integrale adempimento dell’obbligazione usuraria[xii].

 

2.Il tentativo

Il modello vigente, però, rende problematica l’individuazione del momento storico di realizzazione della fattispecie tentata. Non di meno, la configurabilità del tentativo nel delitto di usura è stata oggetto di dibattito prima e dopo le riforme degli anni ’90.

Le tesi più significative (seppur, a parere dello scrivente, non completamente esaustive), da un lato muovono i passi sull’ammissibilità della fattispecie tentata anche in assenza della promessa di pagare interessi o utilità usurarie da parte del soggetto passivo, dall’altro pongono in evidenza la disciplina del reato impossibile ex art. 49 c.p. o, ancora, l’inconfigurabilità assoluta della fattispecie tentata.

Coloro i quali sostengono l’ammissibilità della disciplina ex art. 56 c.p. al delitto di usura (Antolisei ed altri) ritengono potersi ritenere sussistente il tentativo anche quando, a seguito della “proposta” usuraria da parte del soggetto agente, questa non venga neppure accettata dal soggetto passivo; non avvenga, in altri termini, quella cooperazione necessaria ai fini della stipula del contratto usurario.

Secondo questa interpretazione, già la semplice richiesta di interessi o vantaggi usurari, sarebbe da considerare quale atto “diretto in modo non equivoco” alla commissione del reato, a nulla rilevando l’eventuale accettazione del soggetto passivo.

Dal punto di vista dello scrivente, però, seppur l’atto si possa considerare “inequivocabilmente diretto” alla commissione del reato (la richiesta di interessi o vantaggi usurari, difatti, è già rappresentativa dell’elemento soggettivo in capo all’agente), è vero anche come la norma sul tentativo indichi che questo debba pure essere “idoneo” alla produzione degli effetti naturalistici della fattispecie. Non di meno, la giurisprudenza formatasi sul punto risulta improntata nel ritenere l’idoneità dell’atto materiale allorquando “l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo[xiii].

D’altro avviso, invece, la tesi secondo la quale dalla mancata accettazione della proposta usuraria, debbano ricavarsi gli estremi della disciplina del reato impossibile (ipotesi parzialmente accolta dallo scrivente) ex art. 49 c.p., sostenuta da Manna. La semplice richiesta di interessi usurari, in buona sostanza, sarebbe da sola infatti inidonea a configurare una condotta penalmente rilevante, poiché il patrimonio della vittima non solo non verrebbe pregiudicato, ma neppure messo in pericolo. E ciò non precluderebbe, comunque, l’applicazione di una misura di sicurezza in capo all’agente alla luce di una volontà delittuosa resasi manifesta.

Altri (Manzini) ritengono di escludere la configurabilità del tentativo nel delitto in esame poiché senza la promessa di restituzione di interessi usurari da parte del soggetto passivo, la condotta dell’agente deve essere considerata (ancora) quale mera “intenzione”; ragione per la quale punire la proposta usuraria priva della promessa restitutoria, rappresenterebbe una inaccettabile rilevanza penale di fattispecie “pensata”, con annessi profili di (il)legittimità costituzionale per una tale scelta di politica criminale.

 

3.Un modello alternativo

La tesi del tentativo configurabile già a seguito dell’offerta usuraria da parte dell’agente, anche a parere dello scrivente, non può trovare accoglimento. Come già evidenziato, la condotta, oltre che univoca, deve essere contestualmente idonea; idoneità che l’operatore del diritto può ricavare dalla profusione (implicita o esplicita) della promessa restitutoria del soggetto passivo, poiché frutto dell’accettazione dell’offerta usuraria.

I giudici di legittimità, in tal senso, hanno stabilito[xiv] come il tentativo debba essere ritenuto idoneo ove sia significativa la probabilità di conseguire l’obiettivo delittuoso. Come potrebbe, pertanto, ritenersi significativamente probabile il conseguimento degli effetti del reato, in assenza della promessa restitutoria del soggetto passivo? A parere dello scrivente, ammettere ciò risulterebbe teleologicamente fallace.

Non si voglia, altresì, commettere l’errore di porre il rifiuto del soggetto passivo (tacito o espresso) ad accettare la proposta usuraria, nell’ordine degli “eventi non prevedibili, indipendenti dalla volontà del reo”. Difatti, dovranno essere considerati in tal senso tutti quegli eventi esterni alla cooperazione dei soggetti del reato (es. la morte del soggetto passivo a seguito della pattuizione, l’impossibilità sopravvenuta ad adempiere all’obbligazione usuraria, ecc.).

E non trova pieno accoglimento neppure la già citata ipotesi avanzata da diversi autori tra cui Manzini. Detta ipotesi tende ad assumere (correttamente) che in assenza della promessa restitutoria non possa integrarsi la materialità della fattispecie, ritenendo (però) come, nel caso in cui invece la promessa avvenga, il reato debba essere ritenuto integrato.

Attraverso il presente articolo, d’altro canto, lo scrivente ha inteso muoversi sul solco della concezione secondo la quale il reato di usura debba essere considerato sempre – in linea ai principi di determinatezza e tipicità della norma penale – reato di danno, in netta contrapposizione al doppio schema vigente.

Non a caso, la fattispecie in esame è inserita tra i “reati contro il patrimonio (bene giuridico tutelato) mediante frode”, al Capo II del Titolo XIII del Libro II, codice penale.

Sul punto, diversi autori[xv] hanno continuato a ritenere come il reato in esame debba essere considerato “presidio” del patrimonio dell’individuo (persona giuridica o fisica), e non di un astratto bene economico superiore.

Se da un lato, infatti, non v’è stata la totale cancellazione dei requisiti soggettivi, prevedendo le condizioni di difficoltà economica e finanziaria al terzo comma della fattispecie, o l’approfittare dello stato di bisogno quale circostanza aggravante, dall’altro lato, al controllo del costo del denaro ed alla regolamentazione del mercato del credito, si riconduce l’opinione di chi sostiene come l’ordinamento economico-finanziario del credito sia un bene giuridico, ma solo strumentale alla tutela del patrimonio del singolo, che è il bene giuridico finale[xvi].

Considerata, dunque, l’usura nella sua più pregnante qualità di reato di danno, è possibile delineare un modello (auspicabile) di lettura delle possibili estrinsecazioni della condotta, a seconda che la proposta usuraria parta dal soggetto agente (a seguito di una ricerca attiva di soggetti a cui concedere il prestito ad interessi usurari) o dal soggetto passivo (a seguito della ricerca di capitale ad interessi usurari).

Ipotesi attiva (ad impulso del soggetto agente)

  1. Qualora il soggetto agente formulasse una proposta usuraria e il soggetto passivo la accettasse (promettendo di corrispondere interessi usurari), la condotta dell’agente assumerebbe rilevanza penale, ma ancora nella forma tentata.

Il reato sarebbe da considerare, invece, consumato qualora alla promessa seguisse la dazione vera e propria (anche parziale) degli interessi usurari.

  1. Se, invece, il soggetto passivo rifiutasse, esplicitamente o implicitamente, la proposta usuraria formulata dall’agente, la condotta di quest’ultimo sarebbe penalmente irrilevante, pur potendosi giustificare l’applicazione di misure di sicurezza.
  2. Qualora la proposta usuraria non pervenisse al soggetto passivo, la condotta dell’agente rimarrebbe parimenti penalmente irrilevante, con possibile applicazione di misure di sicurezza.

Ipotesi passiva (ad impulso del soggetto passivo)

  1. Nel caso in cui, invece, il soggetto passivo manifestasse autonomamente la volontà di corrispondere interessi usurari e il soggetto agente accettasse tale impegno, la condotta di quest’ultimo sarebbe penalmente rilevante, ma ancora nella forma tentata.

Il reato sarebbe da considerarsi consumato nel momento in cui seguisse la materiale dazione, anche parziale, degli interessi usurari.

  1. Se il soggetto passivo, invece, promettesse la dazione di interessi usurari ma il soggetto agente non ne accettasse le condizioni proposte, formulando una controproposta, troverebbero applicabilità le disposizioni previste ai punti 1, 2 e 3 dell’ipotesi attiva.
  2. Qualora il soggetto passivo promettesse la dazione di interessi usurari, ma il soggetto agente la rifiutasse, la condotta sarebbe da intendere penalmente irrilevante.

 

4.La replicabilità del modello nelle fattispecie corruttive, ma non in quella concussiva o di induzione indebita ex art. 319 quater c.p.

Attraverso tale approccio, parrebbe applicabile il medesimo modello in seno a tutti i reati a c.d. “duplice schema”, ovvero quelli di corruzione, concussione e di induzione indebita a dare o promettere utilità.

Invero, le condotte punite dai reati contro la pubblica amministrazione in parola, coinvolgono un diverso iter oggettivo.

Nella corruzione il pubblico ufficiale non incide, attraverso la propria condotta, nella volontà di delinquere del privato. Tutte le ipotesi corruttive trovano infatti il loro perfezionamento già attraverso l’accettazione della promessa di un’utilità (da parte del pubblico ufficiale) ovvero con la successiva dazione dell’utilità (da parte del soggetto passivo). Pertanto, proprio come il danno patrimoniale nell’usura, anche l’effettiva realizzazione della condotta contraria ai doveri del p.u. nella corruzione, ben potrebbe rimanere estranea alla struttura del reato.

Non a caso, nell’attuale concezione legislativa e giurisprudenziale[xvii], il danno al bene giuridico tutelato nelle ipotesi corruttive rappresenta un post-factum non necessario ai fini della consumazione ma, ove avvenisse, questi assorbirebbe la “fase di stipula”. Anche nel reato in parola, ne consegue, il legislatore ha deciso di punire con lo stesso compendio punitivo sia la condotta di coloro i quali si accordano ma poi non realizzano il progetto corruttivo, sia coloro i quali non solo si accordano in tal senso, ma pure realizzano il proposito corruttivo recando, lì sì, un effettivo danno alla pubblica amministrazione.

Ad avviso dello scrivente, pertanto, se nel reato di usura l’accettazione della promessa o della proposta usuraria andrebbero considerati quali momenti da cui ricavare la rilevanza penale della fattispecie (nella forma tentata), parimenti solo dall’effettiva condotta corruttiva del p.u. dovrebbe discernere 1) la lesione del bene giuridico tutelato (ossia il corretto funzionamento della macchina amministrativa) e, 2) la consumazione del reato. Rimarrebbe relegata nella fattispecie tentata, pertanto, quella frazione di condotta compresa tra l’accordo corruttivo e l’effettiva realizzazione dell’evento dannoso.

Di impossibile esecuzione, ad avviso dello scrivente, il modello di cui al presente contributo nell’individuazione del tentativo per i reati di concussione ed induzione indebita; tali fattispecie, a differenza di quelle corruttive, presuppongono una condotta del pubblico ufficiale particolarmente pervicace già prima dell’accordo contra legem.

In buona sostanza, nella fattispecie concussiva ed induttiva, è il momento costrittivo/induttivo a rappresentare il fulcro dell’elemento oggettivo; ragione per la quale la successiva accettazione della promessa, o la effettiva dazione di utilità, non potrebbero più rappresentare quella frazione di condotta integrante il tentativo, bensì una mera consecutio dell’illecita condotta precedente. Di tal guisa, la verifica della non equivocità e della idoneità degli atti ai sensi dell’art. 56 c.p., andrebbe mossa nei confronti di quella primaria condotta coercitiva/induttiva del soggetto agente e non, come nel modello offerto nel presente articolo, nell’accettazione della promessa (ipotesi passiva) o nell’accettazione della proposta (ipotesi attiva).

 

5.Conclusioni

In considerazione di quanto suesposto, appare del tutto irragionevole la scelta di politica criminale del legislatore che, nella formulazione del fatto tipico nel reato di usura, ha inteso equiparare le diverse ipotesi di “chi si fa dare o promettere”.

Dal dettato normativo vigente si rileva infatti una sostanziale parificazione delle condotte di colui il quale accetta la promessa (senza ricevere la dazione) e di colui il quale si spinge oltre, riscuotendo l’utilità oggetto della promessa medesima.

È pertanto utile rilevare come, pure in forza della giurisprudenza formatasi sul punto, i due momenti vengono, da un punto di vista pratico-giuridico, considerati puramente alternativi.

Lo scrivente si chiede quanto corretto (su svariati piani giuridici) possa essere stimato tutto ciò in considerazione di una visione della condotta puramente naturalistica, che non percepisce i momenti della consumazione del reato in esame come alternativi tra loro, bensì successivi. Ogni frazione consumativa, invero, detiene in sé un coefficiente di gravità oggettivamente diverso, ragione per la quale trattarli col medesimo compendio sanzionatorio risulta allo scrivente del tutto irrazionale.

L’accettazione della promessa al pagamento di interessi usurari del soggetto agente, o l’accettazione della proposta usuraria da parte del soggetto passivo, devono avere obbligatoriamente, in un qualche momento storico, anticipato la dazione; da ciò ne deriva come solo attraverso quest’ultima – sussistendo un effettivo danno patrimoniale – debba considerarsi realizzata quella consumazione sottesa all’accordo presupposto.

In buona sostanza, il “pericolo” dell’usura assume – nell’attuale formulazione normativa – la medesima gravità dell’usura compiuta, in netto contrasto al carattere necessariamente proporzionale della sanzione penale, il quale è espressione di un più ampio ventaglio di principi costituzionali e sovranazionali[xviii].

Una riforma del reato di usura – sulla scorta di un modello non dissimile da quello rappresentato all’interno del presente contributo – sarebbe pertanto auspicabile al fine di adeguare la fattispecie in esame ai principi guida dell’ordinamento penale.

 

* Socio della Camera Penale di Catanzaro “Alfredo Cantàfora”

[i] Dall’espressione “altra utilità” è dato evincere la configurabilità tanto dell’usura pecuniaria, attraverso una dazione di denaro da parte del soggetto passivo, tanto dell’usura reale, la quale si materializza attraverso la prestazione di un servizio o di un’attività professionale.
[ii] ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte speciale, I, Giuffrè, 1977, 303; MANTOVANI, Diritto Penale, Parte speciale, Delitti contro il patrimonio, Cedam, 1989, 195;
[iii] Ai sensi del quale «la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell’ultima riscossione sia degli interessi che del capitale»;
[iv] In questi termini Sent. Cass., Pen., Sez. I, 19 ottobre 1998, n. 11055;
[v] Si legge nella Sent. Cass. Pen., Sez. II, 24 novembre 2017, «Questa Corte ha ormai abbandonato l’orientamento che attribuiva all’usura la natura di reato istantaneo, sia pure con effetti permanenti, e ha affermato che, in tema di usura, qualora alla promessa segua – mediante la rateizzazione degli interessi convenuti – la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell’originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo “sostanziale” del reato, realizzandosi, così, una situazione non necessariamente assimilabile alla categoria del reato eventualmente permanente, ma configurabile secondo il duplice e alternativo schema della fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea, ovvero con riferimento alla struttura dei delitti cosiddetti a condotta frazionata o a consumazione prolungata».
[vi] L’art. 644 c.p., infatti, prescinde dalla qualità e dalla natura giuridica del soggetto al quale è rivolta la pretesa usuraria, purché ricorrano gli altri requisiti costitutivi del reato (v.
Cass. Sez. II, n. 10942/1988).
[vii] BOIDO, Usura e diritto penale: la “meritevolezza” della pena nell’attuale momento storico, Padova, 2010, pag. 378;

[viii] In tal senso, CAVALIERE, NAVAZIO, Le usure. Mercato illecito del denaro e tutela delle vittime, Bari, 2008, pag. 124, CRISTIANI, Guida alle nuove norme sull’usura, Torino, 1996, pag. 32, DE ANGELIS, Usura, pag. 7;
[ix] Così LOCATELLI, sub art. 644, in Codice penale, a cura di PADOVANI, Milano, 2007, pag. 4063, MUCCIARELLI, Commento alla legge 7.3.1996, n. 108, in Leg. pen., 1997, pag.514;
[x] Sent. Cass., Pen., Sez. II, 26 settembre 2019, n. 38551;
[xi] La condotta del reato di usura non richiede che l’autore adotti atteggiamenti intimidatori o minacciosi verso la vittima, poiché tali comportamenti appartengono alla diversa fattispecie dell’estorsione. Tuttavia, è importante sottolineare come i due reati possano coesistere allorquando la violenza o la minaccia, pur non presenti al momento dell’accordo usurario, subentrino successivamente per ottenere il pagamento degli interessi o degli altri benefici illeciti pattuiti (v. Cass. Sez. II, n. 243283/2009). Nel caso in cui la violenza o la minaccia “vengano poste in essere dal soggetto attivo per «farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità» risulterà integrato il solo reato di estorsione, in virtù dell’elemento specializzante della violenza o minaccia [posta al fine di] indurre il soggetto ad accettare la pattuizione usuraria, non [invece] l’usura, che sarebbe integrata dalla mera dazione o promessa, del tutto “spontanea”, di «interessi o altri vantaggi usurari» […]. L’usura e l’estorsione possono, tuttavia, concorrere, nel caso in cui la violenza o minaccia sia esercitata in un momento successivo rispetto all’iniziale pattuizione usuraia, ovvero al fine di ottenere l’ingiusto profitto consistente nella corresponsione dei pattuiti «interessi o altri vantaggi usurari» che il soggetto passivo non possa o non voglia più corrispondere” (v. Cass. Sez. II, n. 38551/2019).
[xii] Sent. Cass., Pen., Sez. II, 9 marzo 2011, n. 17157;
[xiii] Tra le ultime, le Sent. Cass., Pen., Sez. II, 7 dicembre 2016, n. 52189 e Sent. Cass., Pen., Sez. I, 19 luglio 2023, n. 37091;
[xiv] Già cit. Sent. Cass., Pen., Sez. II, 7 dicembre 2016, n. 52189 e Sent. Cass., Pen., Sez. I, 19 luglio 2023, n. 37091;
[xv] Si veda, in particolare, SILVA, Osservazioni sulla nuova disciplina penale del reato di usura, in Riv. pen., 1996, pag. 131.
[xvi] MANNA, La nuova legge sull’usura, UTET, 1997, pag. 69, e, dello stesso autore, Usura (la nuova normativa sull’), in Dig. disc. pen. Agg., 2000, pag. 647, in cui egli fa riferimento al diritto penale ambientale, ove la tutela posta a favore dell’ambiente, inteso come autonomo bene giuridico, è solo funzionale alla tutela della salute e della vita dei singoli cittadini.
[xvii] “In tema di corruzione, il compimento dell’atto da parte del pubblico ufficiale non appartiene alla struttura del reato e non assume rilievo ai fini della determinazione del momento consumativo” (v. Cass. Pen. Sez. VI, 4 maggio 2006, n. 33435; nonché Cass. Pen. Sez. VI, 7 ottobre 2020, n. 29549).
[xviii] Vedasi gli artt. 3, 13 e 27 Cost., 49 della Carta dei diritti fondamentali U.E. e 52 C.E.D.U.

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