di Manuel Curcio –
Nell’ordinamento italiano determinate categorie di professionisti sono soggette a particolari condizioni nell’esercizio della propria attività e ciò in quanto gli stessi possono incorrere in situazioni potenzialmente rischiose in termini di legalità, soprattutto in ragione della natura della clientela con la quale si interfacciano.
L’Italia, attualmente, rispetto il fenomeno del riciclaggio, ha dunque previsto un sistema basato su un vero e proprio doppio binario corrispondente a due diverse esigenze, sia di carattere sistematico che di tipo sanzionatorio.
Infatti, se da un lato il legislatore nazionale ha previsto la rilevanza codicistica delle condotte sostanziatesi negli illeciti di cui agli artt. 648bis (riciclaggio) e 648ter (autoriciclaggio) c.p., riconoscendo in tal senso una punibilità secondo i canoni tipici del diritto criminale, dall’altro versante, invece, soprattutto per via dei numerosi impulsi di matrice sovranazionale[1], l’Italia si è dovuta munire di un sistema a carattere per lo più amministrativo con l’intento non soltanto di reprimere determinati comportamenti ma bensì di prevenirli, anticipando, quindi, la soglia di rilevanza della singola condotta.
In particolare, mediante l’introduzione del D.lgs 321/2007, il legislatore ha voluto porre in essere un sistema di protezione dell’integrità dei sistemi economici e finanziari da ingerenze criminose, con una spiccata attenzione al fenomeno del riciclaggio[2], soprattutto per quel che attiene il finanziamento del terrorismo. Volendolo definire genericamente, è stato instaurato un meccanismo di controllo e di verifica ex ante in modo tale che, determinate categorie di soggetti professionali e qualificati, considerati maggiormente a rischio per via dell’intrinseca natura dell’attività in concreto esperita, potessero sottostare ad un regime preventivo differenziato.
I soggetti destinatari del D.lgs 231/2007 sono indicati dal Capo III del decreto e coinvolgono sia le persone fisiche che le persone giuridiche. Soffermandoci maggiormente sulla categoria dei professionisti, l’art. 12 sancisce come debbano intendersi in tal senso:
a) ragionieri, commercialisti, consulenti del lavoro e coloro i quali siano iscritti nell’albo dei periti commerciali,
b) qualsiasi altro soggetto che renda i servizi forniti da periti, consulenti e altri individui che svolgono in maniera professionale attività in materia di contabilità e tributi(da intendersi compresi anche le associazioni di categoria di imprenditori e commercianti, CAF e patronati)
c) i notai e gli avvocati soltanto nel caso in cui, in nome o per conto dei propri clienti, compiono qualsiasi operazione di natura finanziaria o immobiliare ovvero nell’ambito di assistenza nella predisposizione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:
- il trasferimento a qualsiasi titolo di diritti reali su beni immobili o attività economiche; nonché la gestione di denaro, strumenti finanziari o di altri beni;
- l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;
- l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o all’amministrazione di società; la costituzione, la gestione o l’amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi;
d) i prestatori di servizi relativi a società e trust ad esclusione dei soggetti rientranti nelle categorie poc’anzi esplicate.
Rispetto ai suddetti soggetti, la legge impone una serie di obblighi volti alla verifica della clientela di riferimento. In tal senso il fine preventivo del decreto si manifesta nell’obbligo di esercizio di un’attività prodromica con la quale il legislatore delimita l’ambito di rischio di alcune operazioni economiche maggiormente esposte al pericolo di contaminazione criminosa.
Parlando concretamente, si prevedono due macro categorie di adempimenti a carico dei professionisti, in primis, come già anticipato, l’art. 16 del D.lgs 231/2007 richiede l’adeguata verifica della clientela e dell’effettivo titolare del bene ovvero del servizio:
- qualora la prestazione professionale in questione abbia ad oggetto mezzi di pagamento, beni od utilità di valore pari o superiore a 15.000 euro;
- quando vengono eseguite prestazioni professionali occasionali consistenti nella trasmissione o la movimentazione di mezzi di pagamento di importo pari o superiore a 15.000 euro, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con un’operazione unica o con più operazioni che appaiono collegate o frazionate tra loro;
- tutte le volte che l’operazione sia di valore indeterminato o non determinabile. A tali fini, la costituzione, gestione o amministrazione di società, enti, trust o soggetti giuridici analoghi integrano, a priori, un’operazione di valore non determinabile.
In ogni caso poi, la norma ad esame, come vera e propria clausola di chiusura, sancisce l’obbligo di adeguata verifica ogni qual volta vi sia un sospetto di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile; ovvero quando sorgano dubbi sulla veridicità o sull’adeguatezza dei dati precedentemente ottenuti ai fini dell’identificazione di un cliente.
Il contenuto degli obblighi di adeguata verifica è disciplinato dall’art. 18 del D.lgs 231/2007, il quale dispone come il singolo professionista sia chiamato a svolgere:
- l’identificazione del cliente secondo parametri oggettivi e riconoscibili e quindi ricavabili sulla base di documenti, dati o informazioni ottenuti da una fonte affidabile e indipendente;
- l’identificazione dell’eventuale titolare effettivo con annessa verifica circa l’identità del medesimo;
- l’ottenimento d’informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della prestazione professionale;
- lo svolgimento di un controllo periodico e costante nel corso del rapporto continuativo o nello svolgimento della prestazione professionale.
In questo contesto, l’ulteriore macro insieme di adempimenti relativi alla normativa sull’antiriciclaggio attiene ai profili di registrazione[3] e segnalazione[4] delle varie operazioni effettuate. Nel primo caso si impone al professionista una vera e propria rendicontazione intesa non soltanto con riguardo alle operazioni in quanto tali, ma bensì anche rispetto al proprio sistema di verifica all’epoca esperito rispetto quello specifico cliente; mentre, per quel che attiene le segnalazioni, il legislatore ha previsto l’obbligo di comunicazione all’UIF (Unità di informazione finanziaria Italia) ovvero all’ordine professionale competente ogni qualvolta vi sia il dubbio o il ragionevole motivo di sospettare che siano in corso o che siano state compiute, o quantomeno tentate, operazioni di riciclaggio ovvero di finanziamento del terrorismo, o che comunque i fondi oggetto delle operazioni, indipendentemente dalla loro entità, provengano da attività criminosa.
In merito alle sanzioni, si sottolinea come l’art. 55 del D.lgs 231/2007 ha introdotto una serie di illeciti, sia di natura penale che meramente amministrativa, relazionati alla violazione delle disposizioni contenute nel decreto in questione. Sul fronte del diritto penale, si segnala l’instaurazione di una nuova fattispecie di confisca all’interno del codice di rito[5] e la tipizzazione di nuove condotte punibili finanche con la reclusione da 6 mesi a 3 anni e con la multa compresa tra i 10.000 euro ed i 30.000 euro. Infine, sul versante amministrativo, la mano del legislatore non sembra essere stata particolarmente leggera, prevedendo sanzioni pecuniarie fino alla cifra di 300.000 euro.
[1] Cfr. direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE.
[2] Per quanto attiene la definizione ed il concetto di riciclaggio e finanziamento del terrorismo valido ai fini del decreto si riporta qui il testo integrale dell’art. 2 del D.lgs 231/2007:
1) Ai soli fini del presente decreto le seguenti azioni, se commesse intenzionalmente, costituiscono riciclaggio:
- a) la conversione o il trasferimento di beni, effettuati essendo a conoscenza che essi provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività, allo scopo di occultare o dissimulare l’origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche delle proprie azioni;
- b) l’occultamento o la dissimulazione della reale natura, provenienza, ubicazione, disposizione, movimento, proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi, effettuati essendo a conoscenza che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
- c) l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni essendo a conoscenza, al momento della loro ricezione, che tali beni provengono da un’attività criminosa o da una partecipazione a tale attività;
- d) la partecipazione ad uno degli atti di cui alle lettere precedenti, l’associazione per commettere tale atto, il tentativo di perpetrarlo, il fatto di aiutare, istigare o consigliare qualcuno a commetterlo o il fatto di agevolarne l’esecuzione.
2) Il riciclaggio è considerato tale anche se le attività che hanno generato i beni da riciclare si sono svolte nel territorio di un altro Stato comunitario o di un Paese terzo.
3) La conoscenza, l’intenzione o la finalità, che debbono costituire un elemento degli atti di cui al comma 1, possono essere dedotte da circostanze di fatto obiettive.
4) Ai fini del presente decreto per finanziamento del terrorismo vale la definizione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 22 giugno 2007, n. 109.
5) Al fine di prevenire l’utilizzo del sistema finanziario e di quello economico per finalità di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, il presente decreto detta misure volte a tutelare l’integrità di tali sistemi e la correttezza dei comportamenti.
6) L’azione di prevenzione di cui al comma 5 è svolta in coordinamento con le attività di repressione dei reati di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.
[3] Per I concetti espresso in merito all’obbligo di registrazione cfr. Art. 36 e ss. D.lgs 231/2007
[4] Per I concetti espresso in merito all’obbligo di segnalazione cfr. Art. 43 e ss. D.lgs 231/2007
[5] Cfr. Art. 648quater c.p.