Informazioni antimafia e distorsioni nel sistema amministrativo

Silia Gardini* e Crescenzio Santuori** –

La lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso ha conquistato negli ultimi decenni una rilevanza sempre più ampia per il diritto amministrativo. In questo contesto, il pericolo di inquinamento criminoso è fronteggiato dal legislatore attraverso la predisposizione di un sistema di accertamento preventivo volto ad arrestare “all’origine” i contatti della Pubblica amministrazione con soggetti ritenuti potenzialmente sensibili a infiltrazioni mafiose, anche indirette.

L’articolo 84, comma 1, del Codice Antimafia, D. lgs. n. 159/2011 – con l’intento di realizzare la massima anticipazione della soglia di tutela – attribuisce al Prefetto competenza al rilascio di provvedimenti amministrativi di natura cautelare e preventiva, che determinano in capo al soggetto destinatario una particolare forma di incapacità giuridica nei rapporti con la p.a. (e non solo): la comunicazione antimafia e l’informazione (o informativa) antimafia. Entrambi i provvedimenti hanno l’obiettivo di evidenziare alla Pubblica Amministrazione situazioni ostative al rilascio di atti o alla stipula contratti; il loro contenuto è, invece, significativamente differente.

Se la comunicazione ha contenuto vincolato e funzione accertativa di una delle cause di decadenza, sospensione o divieto indicate dall’art. 67 dello stesso Codice antimafia (applicazione di una misura di prevenzione personale, di una condanna con sentenza definiva o confermata in grado di appello, per uno dei delitti di criminalità organizzata di cui all’art. 51, comma 3-bis c.p.p.), l’informativa presenta un contenuto più complesso, poiché è volta a certificare – oltre a quanto già previsto in tema di comunicazione – anche la sussistenza di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, capaci di condizionare le scelte e gli indirizzi di società o imprese interessate.

Quel che caratterizza spiccatamente le informative – e rende problematico il contesto applicativo dell’istituto – è il fatto che esse si fondano su un giudizio di mera eventualità, che si traduce nell’amplissima discrezionalità riconosciuta alle Prefetture in merito a questioni fisiologicamente opinabili, attinenti all’apprezzamento, attraverso elementi sintomatici e indiziari, di un rischio di ingerenza mafiosa e non all’accertamento di una effettiva sussistenza di eventi o responsabilità. La valutazione amministrativa, in questi casi, è condotta attraverso un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede un livello di certezza oltre “ogni ragionevole dubbio” (tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale), ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza (sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti: il Codice antimafia ne tipizza alcuni, ma non vincola l’amministrazione nella valutazione), sì da far ritenere “più probabile che non” il pericolo di infiltrazione mafiosa.

In altre parole, l’informativa antimafia non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste. Il quadro risulta ancor più problematico se si considera che i procedimenti amministrativi in materia – in quanto preordinati all’emanazione di “atti necessitati”, per i quali l’urgenza di agire giustifica modificazioni strutturali derivate ai fini della tutela dell’interesse pubblico – risultano slegati dal puntuale rispetto delle garanzie procedimentali, partecipative e motivazionali previste in via generale dall’ordinamento.

A fronte di un fondamento essenzialmente probabilistico, gli effetti prodotti dall’istituto in capo agli operatori economici possono essere molto invasivi, al punto da indurre qualcuno a parlare a più riprese di “ergastolo imprenditoriale”.

Al di là dell’espressione che si intenda utilizzare, è innegabile che la tendenza del sistema, nel difficile e complesso bilanciamento tra l’interesse pubblico e i diritti privati su cui il potere interdittivo incide, sia quella di massimizzare oltremodo la “ragion pubblica” a discapito delle imprese e delle loro prerogative costituzionalmente garantite. Tale impostazione, al netto delle nobili intenzioni del legislatore, finisce spesso per determinare effetti gravemente distorsivi, anche sul mercato e anche in capo a operatori economici (successivamente riconosciuti) virtuosi.

L’informazione interdittiva antimafia, infatti, malgrado la sua formale natura provvisoria, produce sempre effetti irreparabili e definitivi sull’impresa che ne è destinataria, salvo che si riesca ad ottenere in sede giudiziaria un provvedimento sospensivo ovvero il “passaggio” allo strumento del controllo giudiziario. Ciò perché l’operatore interdetto non ha “soltanto” preclusa la possibilità di partecipare alle procedure di gara e di sottoscrivere contratti pubblici, ma si vede di fatto negato l’avvio di qualsivoglia attività economica. Il che lo espone facilmente a dissesto o fallimento, anche laddove all’esito di giudizi amministrativi e penali eventualmente avviati a propria difesa, il contestato rischio di infiltrazione mafiosa dovesse poi rivelarsi insussistente o, quantomeno, evitabile attraverso la sottoposizione a misure meno radicali e meno invasive. 

Appare, dunque, evidente che – ferme restando le primarie e imprescindibili esigenze di tutela sottese alla lotta alla criminalità organizzata – l’istituto dell’informativa antimafia necessiti di essere circondato da maggiori cautele. Le distorsioni che emergono dalla prassi applicativa andrebbero corrette dal legislatore, soprattutto nell’ottica del necessario “recupero” dell’impresa, che dovrebbe essere connaturata a misure – quali sono quelle antimafia – di natura preventiva e non sanzionatoria. In questa direzione, sia pure a fronte di alcune recenti e apprezzabili aperture da parte della giurisprudenza amministrativa (in particolare in tema di istruttoria e contraddittorio procedimentale), la strada da percorrere appare ancora lunga e tortuosa. E, nelle more, le imprese muoiono.

 

* Avvocato amministrativista e Ricercatrice di Diritto amministrativo
** Avvocato amministrativista

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