La giustizia del governo e il governo della giustizia. Riflessioni a margine dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario dei penalisti italiani.

di Francesco Iacopino – 

Si è conclusa sabato scorso l’inaugurazione dell’anno giudiziario dei penalisti italiani, dedicata al “processo come ostacolo” e al “carcere come destino”. Abbiamo affrontato il tema della ‘fabbrica dei reati’ e della dimensione “carcerocentrica della pena”, confrontandoci anche con il Ministro della Giustizia e la classe politica, in una sessione specificamente dedicata al “governo della giustizia” e alla “giustizia del governo”.

Il “governo della giustizia” dovrebbe trovare fonte di ispirazione e alimentare la “giustizia sociale” e non delegare la soluzione delle disuguaglianze e delle povertà del nostro tempo alla “giustizia penale”. E, invece, il fallimento o, meglio, la bancarotta fraudolenta della politica sociale è “coperta” sempre di più dalla truffa continuata dell’espansione penale. In una democrazia emotiva, qual è quella nella quale viviamo, alla domanda di sicurezza collettiva si risponde bulimicamente con l’aumento “dei delitti e delle pene”. Si ignorano ostinatamente le conseguenze tossiche prodotte dal sovradosaggio del diritto penale (oramai “totale”) e si insiste demagogicamente nella folle corsa alla produzione dei reati, all’inasprimento delle sanzioni, alla somministrazione sempre maggiore di sofferenza carceraria. Una risposta illusoria, inadatta, una mal practice che alimenta il disagio individuale e l’insicurezza collettiva. Un circolo vizioso e disumano produttivo di sovraffollamento, disperazione, suicidi (negli ultimi 30 anni la popolazione carceraria è raddoppiata e, nel 2024, si sono tolti la vita ben 17 detenuti: uno ogni due giorni).

Ad aggravare il carico di dolore, i centri di permanenza per il rimpatrio: carceri mascherate, fatiscenti, scandalose, che certificano l’esistenza di esseri umani di “serie b”, portatori di “diritti di scarto”, di “libertà (non) fondamentali”, “violabili”. Se rimuoviamo il velo dell’ipocrisia ci affacciamo su luoghi di “detenzione amministrativa”, vere e proprie galere per extracomunitari irregolari che (non hanno commesso reati, ma) pagano con la libertà il prezzo di un titolo di soggiorno mai avuto. Discariche per rifiuti non pericolosi, centri di raccolta dei moderni disperati della storia. A inchiodarci al muro delle nostre responsabilità ancora una volta una morte tragica, quella di Ousmane Sylla, il 22enne della nuova Guinea impiccatosi – lasciando un biglietto straziante – nel CPR di Ponte Galeria!

Dovremmo fermarci e sostare davanti a tanto dolore. Arrestare la folle corsa ossessivo-punitiva. Trovare il coraggio di ribellarci a un sistema pan-penalistico che ha alterato gli equilibri del rapporto tra autorità e libertà. Smascherare le pubblicità ingannevoli che hanno anestetizzato quotidianamente il nostro senso di umanità. Perché è disumano, oltre che illusorio, pensare che le tossicodipendenze, le malattie psichiatriche, i soggiorni irregolari dei migranti economici che fuggono dalla miseria, le povertà materiali e la solitudine esistenziale possano trovare soluzioni e garantire sicurezza alle nostre vite comode e borghesi, scaricandone il peso sull’istituzione penitenziaria o, peggio, buttando via le chiavi!

Non è questa la civiltà del diritto che vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli.
Non è questo – un diritto penale onnivoro, vendicativo, spietato – quello che hanno immaginato i nostri padri costituenti quando ne hanno disegnato l’architettura nella nostra costituzione.

E, allora, dopo due giorni intensi, ritorniamo alla quotidianità del ministero difensivo con la rinnovata consapevolezza di essere, gli Avvocati, l’ultimo baluardo, l’ultimo argine possibile alla deriva punitiva che ha dato l’abbrivio a un sistema che pretende di regolare le disuguaglianze e gli scarti sociali con la leva penale e di utilizzare il carcere come centro di raccolta differenziata delle periferie esistenziali. Dopo momenti alti di confronto e di formazione, che hanno irrobustito l’orgoglio di essere Avvocati, e Avvocati penalisti in particolare, ritorniamo nelle nostre trincee ancora più motivati e consapevoli del significato profondo, autentico della nostra missione e della nostra funzione, chiamati come siamo a assumere la difesa dell’uomo e delle sue libertà e, al contempo, a essere sentinelle e custodi del corredo assiologico che ha dato vita al moderno diritto penale liberale e al giusto processo.

 

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