Osservatorio Giustizia Riparativa, Camera Penale “A. Cantàfora” di Catanzaro –
La giustizia riparativa, intesa come forma di mediazione tra l’autore di un reato, la vittima/persona offesa e la società, ha radici risalenti nel tempo, in Italia ed in Europa.Il d.Lgs. 150/2022 ha introdotto una disciplina organica concernente l’applicazione sistematica dell’istituto nelle nostre aule di giustizia.
In effetti, buona parte della Riforma Cartabia è stata dedicata alla predisposizione di norme con il fine di regolare la materia in esame. Da qui lo sviluppo di aspettative considerevoli sull’applicazione delle stesse. Ad ormai più di un anno dall’entrata in vigore del decreto, l’attuazione pratica delle disposizioni in questione non ha ancora convinto del tutto, per così dire, gli addetti ai lavori.
Sono di tutta evidenza le difficoltà concernenti la materia, sotto ogni punto di vista: organizzativo, pratico e, non ultimo, sostanziale.
Tralasciando, per quel che riguarda il presente contributo, le problematiche emerse in ordine alla organizzazione delle strutture (centri per la G.R.), alla formazione di mediatori esperti e alla istituzione delle Conferenze locali per la Giustizia riparativa (era lecito aspettarsi delle difficoltà iniziali in tal senso) – che pure sono ostacoli di non poco conto – quel che preoccupa è l’uniformità di giudizio dei giudicanti ai quali perviene un’istanza di accesso ai programmi di G.R.
In tema di organizzazione e sviluppo delle strutture, nonché delle figure che saranno protagoniste nel campo della giustizia riparativa, ci si aspetta celeri risposte da parte dei soggetti preposti.
Analizzando, nel mentre, il profilo sostanziale, l’incertezza aumenta e si aggiunge alle criticità di cui sopra. È innegabile, sul punto, quale fosse l’intento del legislatore.
La Giustizia Riparativa non nasce come uno strumento attraverso il quale “sottrarsi” ai procedimenti penali. Non rappresenta assolutamente una forma di giustizia alternativa a quella ordinaria. Trattasi piuttosto di un percorso incidentale a quello del procedimento penale vero e proprio che consente, il più delle volte, di ridimensionare il trattamento sanzionatorio del soggetto di cui sia stata (o sarà) accertata la responsabilità penale.
Ciò che si sostiene è palese essendo previsto che l’accesso ai programmi di giustizia riparativa può avvenire in ogni stato e grado del procedimento, nella fase di esecuzione della pena e della misura di sicurezza e dopo l’esecuzione delle stesse.
La riforma intendeva, ed intende, a ben vedere, offrire la massima potenzialità operativa allo svolgimento dei programmi di giustizia riparativa, permettendone lo sviluppo addirittura in fase esecutiva della pena.
La sensazione, allo stato, è che non sia stata del tutto recepita la ratio e la finalità dei programmi di G.R., in quanto stiamo assistendo a provvedimenti diametralmente opposti relativi alle richieste di accesso proposte nelle diverse aule di giustizia.
A titolo di esemplificativo è sufficiente confrontare le decisioni assunte in questo primo arco temporale di operatività della nuova disciplina.
È opportuno evidenziare il caso di Davide Fontana, imputato e condannato in primo grado per il delitto di omicidio. La Corte di Assise di Busto Arsizio – con ordinanza emessa in data 19.9.2023 – ha disposto, su istanza di parte, l’invio degli atti al Centro per la Giustizia Riparativa di Milano per la predisposizione di un programma di G.R.La decisione della Corte è avvenuta nonostante la richiesta di rigetto della Procura e del difensore delle costituite Parti civili, le quali rappresentavano di non consentire rapporto di alcun tipo, neanche tramite mediazione, con il Fontana.
La Corte di Assise di Busto Arsizio ha sottolineato, attraverso l’ordinanza, i concetti che esprimono proprio quella ratio di cui si accennava prima l’esistenza, per disporre l’invio del caso al Centro per la Giustizia Riparativa: “ritenuto, esaminati gli atti, che nel caso concreto lo svolgimento di un programma di giustizia riparativa – laddove ritenuto esperibile anche con “vittima aspecifica” – possa comunque essere utile alla risoluzione delle questioni derivanti dal fatto per cui si procede, giacché la ratio dell’istituto è quella di ricomporre la frattura che il fatto illecito crea non solo tra autore e vittima del reato, ma anche all’interno del contesto sociale di riferimento e che l’istituto di cui è stata chiesta l’applicazione ha anche, se non soprattutto, natura pubblicistica ed ha lo scopo ulteriore di far maturare un clima di sicurezza sociale (cfr relazione dell’Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, pag 297), sicché la volontà del legislatore è indubbiamente di incentivare il ricorso a detto strumento, come emerge dall’art. 43, comma 4, d.Lgs. 150/2022, secondo cui l’accesso ai programmi di giustizia riparativa è sempre favorito (…)”
Proprio l’art. 43, comma 4, della “Riforma Cartabia” evidenzia la volontà del legislatore: l’unica circostanza che limita il ricorso alla G.R. consiste in un pericolo concreto per i partecipanti che sia direttamente dipendente dallo svolgimento del programma.
È, in particolare, questa norma che rende di difficile comprensione gli svariati provvedimenti di rigetto di cui tutti noi siamo ad oggi testimoni. Quasi come se la G.R. rappresenti un peso o addirittura un “escamotage” del richiedente.
Un esempio, del tutto contrario a quello poc’anzi citato, lo si rinviene in un’ordinanza emessa quasi contestualmente al provvedimento della Corte d’Assise di Busto Arsizio.
La Corte d’Appello di Milano, in data 12 luglio 2023, rigettava così – nonostante il parere positivo espresso dalla Procura Generale – l’istanza di accesso ad un programma riparativo: “rilevato che i programmi di giustizia riparativa, per come configurati dal d. Lgs 150/2022 (..) si rivolgono agli autori di reati che contemplino l’esistenza di una vittima; rilevato, infatti, che l’art. 53 d. Lgs. 150/2022 individua come possibili programmi di giustizia riparativa la mediazione, il dialogo riparativo e ogni altro programma dialogico; ritenuto che in un reato privo di vittima – quale è l’art. 73 DPR 309/90 – non è ontologicamente ipotizzabile un dialogo di alcun tipo, mancando la parte con cui intrattenere un dialogo; rilevato, dunque, che l’istanza non possa essere accolta per le ragioni suddette; p.q.m. rigetta l’istanza”.
Il risultato che consegue dal confronto dei due provvedimenti riportati, i quali sembrano emessi sulla scorta di norme contrastanti, può essere solo uno: confusione. Risulta singolare come, in entrambi i casi, non vi sia uniformità, non solo tra le decisioni assunte dai giudicanti, ma anche tra i pareri espressi dall’ufficio di Procura.
A ciò si aggiunga che diverse ordinanze di rigetto derivano proprio dall’impossibilità pratica di attivare gli strumenti della giustizia riparativa, dovuta alla totale assenza dei Centri previsti, dei mediatori e alla disorganizzazione che regna in relazione a queste che sono componenti fondamentali dell’istituto.
Ad oggi, quindi, le evidenti criticità dal punto di vista strutturale e sostanziale rendono, purtroppo, effettivamente inoperoso uno degli istituti giuridici a cui era stata conferita maggiore rilevanza dalla Riforma Cartabia.
Quel che ci si augura è che il tempo contribuisca ad uniformare i giudizi in ordine.