di Fabrizio Costarella e Cosimo Palumbo
Che cos’è la confisca di prevenzione?
A giudicare dal nome e dalla sua collocazione normativa, verrebbe naturale rispondere che si tratta di una misura di prevenzione.
Ma la prevenzione è, storicamente, destinata ad operare nel futuro del soggetto inciso, così da evitare che egli reiteri le proprie manifestazioni di pericolosità sociale.
Ma se quel soggetto non è più pericoloso, se non si può pronosticare la sua prossima trasgressione alle Leggi, se è stato assolto nei procedimenti penali che lo hanno visto imputato o se, nel frattempo, è passato a miglior vita, la confisca di prevenzione non dovrebbe essere disposta. Eppure lo è…
Legittimo, quindi, che la Corte Europea, nell’ormai ben noto caso Cavallotti/Italia, rivolga al nostro Governo la domanda con la quale abbiamo aperto questo scritto, ma declinata in modo più diretto e suggestivo: non sarà, la confisca di prevenzione, una pena, visto che da tale categoria mutua la propria funzione ed i propri effetti?
Se fosse una pena, dovrebbe essere soggetta al principio di legalità (e, quindi, ai corollari di tassatività, determinatezza, irretroattività, riserva di legge, riserva di giurisdizione), che la prevenzione nazionale non rispetta.
Garanzie che il Governo non intende riconoscere, perché verrebbe meno il principale strumento di coercizione di libertà individuali altrimenti incoercibili.
Ecco allora che inizia il “gioco delle parole”, con il lessico finalizzato ad eludere le risposte che la CEDU richiede.
Rifacendosi alla giurisprudenza nazionale, il Governo, attenzione, non si limita ad escludere che la confisca di prevenzione sia una pena, ma giunge perfino a concludere che essa non sia neanche una misura di prevenzione “in senso stretto”, definizione che calzerebbe solo al sequestro di cui all’art. 20 del Testo Unico Antimafia.
Nonostante il Legislatore l’abbia espressamente inserita tra le misure di prevenzione patrimoniali e nonostante la confisca sia destinata a stabilizzare, confermandolo, gli effetti del sequestro (che è una misura cautelare di prevenzione destinata a perdere efficacia al decorrere del termine previsto dall’art. 24 del Codice), secondo i nostri rappresentanti la prima non è prevenzione ed il secondo si.
Ragionamento che potrebbe anche essere convincente, se alla confisca si attribuisse natura di pena, rispetto ad un provvedimento provvisorio che potrebbe essere di prevenzione.
Invece, il “trasformismo semantico” è solo all’inizio: la confisca, secondo il Governo (che cita precedenti di legittimità), è una sanzione amministrativa a contenuto ablatorio/ripristinatorio e, per questo motivo, assoggettate alla disciplina delle misure di sicurezza quanto a divieto di irretroattività e destinate a colpire, senza prognosi di pericolosità, i patrimoni di sospetta accumulazione illecita.
Dimentica, l’Avvocatura Generale che la confisca di prevenzione è stata introdotta dalla Legge Rognoni-La Torre (L 646/82) come sanzione penale – tanto che, fino alla modifica del 1990 che abrogò l’art. 24 della Legge, poteva essere irrogata dal giudice penale, all’interno del procedimento penale con equiparazione tra la sentenza ed il decreto di confisca – per come emerge dai lavori preparatori nei quali si parla espressamente di “duplicazione” delle pene nei confronti degli appartenenti alla mafia.
Dimentica, ancora, che, per superare i dubbi di costituzionalità, che emergevano già dalle relazioni parlamentari alla Legge del 1982 (nelle quali si dichiara di “accettare il rischio di incostituzionalità”, data la applicazione territorialmente limitata alla Sicilia della Legge), la Corte Costituzionale, con ripetute pronunce ha escluso che il fine della confisca di prevenzione fosse quello di colpire beni di origine illecita in quanto tali, ma piuttosto impedire che la persona pericolosa ne potesse disporre per commettere reati (ordinanza 177/88, sentenza 335/96, sentenza 21/2012).
Dimentica, pure, che la Corte di Cassazione, con la sentenza Occhipinti (10044/12), a seguito della introduzione della confisca disgiunta, aveva riconosciuto natura oggettivamente sanzionatoria alla ablazione di prevenzione, poiché ormai anche formalmente sganciata dal requisito della attuale pericolosità sociale del proposto.
Il Governo ricorda, invece, che, in altra occasione, la Suprema Corte (sentenza Ferrara, 24272/13) l’aveva definita una misura di sicurezza, obliterando, da parte sua, che tale equiparazione dovrebbe condurre a riconoscere le medesime basi applicative, cioè una sentenza di condanna o, in caso di proscioglimento, l’accertamento sostanziale del fatto secondo gli standard probatori e valutativi del giusto processo.
Quanti nomi per definire un solo istituto: pena, misura di prevenzione, misura di sicurezza, sanzione amministrativa.
Tra tutti, l’Avvocatura ha scelto di sostenere quello che, a suo avviso, consentirà alla prevenzione di sopravvivere al ricorso, sfuggendo ai “contra” che ogni altra definizione reca con sé. E propone un parallelo tra la confisca di prevenzione e la confisca urbanistica, citando il caso GIEM/Italia, deciso dalla Corte EDU.
Non si avvede, tuttavia, che mentre la giurisprudenza nazionale considera la confisca urbanistica come una sanzione amministrativa a carattere ripristinatorio, quella europea, proprio nel caso citato (così come nelle due sentenze Sud Fondi/Italia), la ritiene pena!
Come nel gioco dell’oca, il governo cerca di salvare la prevenzione ma ha tirato male i dadi, finendo nella casella sbagliata e tornando al punto di partenza.
Come non pensare al soldato di Samarcanda che pensa di scappare dal proprio destino e che, invece, gli corre incontro…
(pubblicata su Il Dubbio – 6 gennaio 2024)