di Orlando Sapia, responsabile Osservatorio Carcere Camera Penale “Alfredo Cantàfora” di Catanzaro
ABSTRACT
1) La questione di legittimità al vaglio della corte costituzionale – 2) La costituzionalizzazione dell’ergastolo e il regime dell’ostatività- 3) Ostatività, tolleranza zero e ruolo dello stato – 4) Tra diritto penale massimo e diritto penale del nemico – 5) La giurisprudenza ed i recenti indirizzi: sent. n. 149/18 c.c. – sentenza viola cedu – sentenza n. 253 del 2019 c.c. – 6) 4 bis e circuito penitenziario differenziato
1) La questione di legittimità rimessa dalla Corte di Cassazione, I Sezione, con ordinanza del 3 Giugno 2020 alla Corte Costituzionale ha ad oggetto le disposizioni di cui agli artt. 4 bis, co.1, e 58 ter L. n. 354/ 1975 e art. 2 D.L. n. 152 del 1991 convertito in L. n. 203 del 1991, nella parte in cui escludono che il condannato all’ergastolo, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni di cui all’art. 416 bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, possa godere della liberazione condizionale, salvo il caso in cui sia avvenuta la collaborazione con la giustizia ai sensi dell’art. 58 ter della medesima legge o, in alternativa, l’accertamento dell’impossibile o inesigibile collaborazione.
Visto, nel caso oggetto di rimessione alla Corte Costituzionale, l’essersi formato il c.d giudicato esecutivo di segno negativo in ordine all’impossibile e/o inesigibile collaborazione, la circostanza della mancata collaborazione ha precluso il vaglio di quanto dedotto nel merito, a sostegno della richiesta di liberazione condizionale, da parte del ricorrente. Con ciò, si è elevata la presenza o meno della collaborazione a criterio, da un lato, esclusivo al fine di vagliare l’assenza di legami con l’ambiente criminale di appartenenza e, dall’altro, escludente rispetto ad altri elementi che in concreto potrebbero essere validi al fine di valutare la presenza dei sopraddetti legami criminali e, quindi, escludere la pericolosità sociale del condannato. Ne consegue che l’esistenza di preclusioni assolute alla valutazione/concessione della liberazione condizionale realizza, pur laddove vi siano progressi del condannato in termini di risocializzazione, una violazione del dettato costituzionale in riferimento agli artt. 3, 27 e 111 Cost.
La Suprema Corte di Cassazione nell’ordinanza di rimessione, anche sulla scia della recente giurisprudenza internazionale (sentenza Corte EDU Viola/Italia) e nazionale (sentenza C.C. n. 253/19) ha ritenuto la questione di costituzionalità rilevante e non manifestamente infondata, dal momento che le vigenti disposizioni realizzano “una irragionevole compressione dei principi di individualizzazione e progressività del trattamento” che cedono il passo alle finalità di politica criminale e di difesa sociale, egemoni rispetto al principio della finalità rieducativa della pena che – come riconosciuto dalla sentenza n. 313 del 1990 – è “una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e, l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue”.
Ancora una volta si pone un confronto tra principi sottostanti ad istituti giuridici posti a tutela di differenti e, forse, antitetici interessi sociali, prima, e beni giuridici, dopo.
Da una parte le ragioni dello Stato nell’esercizio del potere legittimo della forza, dall’altra le ragioni del cittadino nel pretendere che questo esercizio legittimo della forza non sia egemonizzato dalle esigenze di sicurezza sociale, ma trovi il suo baricentro nella funzione di rieducazione/risocializzazione della pena.
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