Quando, mesi fa, le Camere Penali calabresi hanno denunciato per l’ennesima volta l’erroneo e smodato ricorso all’istituto della connessione tra procedimenti, la Magistratura associata e certa stampa consociata hanno reagito con la solita veemente levata di scudi.
Volutamente evitando di confrontarsi con la segnalata distorsione del sistema delle garanzie liberali e soffiando sul fuoco della personalizzazione della critica, che è tentazione alla quale l’avvocatura penalista non ha mai inteso cedere e non cederà neanche oggi.
Ciò che si voleva, quella volta, evidenziare è, tra le altre cose, l’effetto stigmatizzante che l’essere indagato in un processo di mafia comporta per il cittadino e, quindi, l’inopportunità (ma si dovrebbe dire, meglio, la illegittimità) di attrarre a questi processi soggetti chiamati a rispondere di reati comuni, che non presentano alcun profilo di connessione, se non volgarmente numerica, statistica o ‘pubblicitaria’, con quelli di criminalità organizzata.
Allora, pur di non ammettere l’errore (ma, si sa, il dogma dell’infallibilità va di moda in certi ambienti), si nascosero tutti dietro il feticcio del processo “Rinascita-Scott”, che, secondo un ragionamento oltremodo illogico, doveva necessariamente essere il vero obiettivo delle Camere Penali e che andava protetto a tutti i costi.
Si sa, “ciascun dal proprio cuor l’altrui misura”: non era possibile per costoro comprendere che a qualcuno stessero realmente a cuore i principi e la tutela effettiva dei diritti.
Tutti massoni, gli avvocati. Tutti mafiosi. Tutti impegnati in una difesa corporativa.
Tutti con le “scrivanie troppo corte”, per usare i luoghi comuni che tanto vanno di moda.
Ma oggi noi siamo ancora qui, saldi nelle nostre toghe, fedeli ai nostri giuramenti, a rifiutarci di assistere in silenzio al tramonto dei diritti dei singoli, nel paese dove tutto è mafia.
A stringerci accanto all’Avv. Vincenzo Ioppoli, prestigioso rappresentante del nostro Foro, Avvocato militante, Uomo perbene, esempio di ortodossia morale e professionale, oggi gettato nel tritacarne di un “processo di mafia” per una ipotesi di reato che, con la mafia, nulla ha a che fare.
Additato con malizia e superficialità, da una stampa sempre meno indipendente dalle Procure (che, facendo regolarmente strame della riforma del 2021, continua a diffondere i nomi degli indagati), come sodale, come connivente con ambienti ai quali, notoriamente, è sempre stato rigorosamente estraneo.
Così consumando un ennesimo stupro nei confronti della presunzione di non colpevolezza, già ridicolizzata ad ogni immancabile conferenza stampa.
Non siamo qui per assumere la difesa d’Ufficio dell’Avvocato Ioppoli. Non ne ha bisogno. Ci precedono la Sua brillante storia professionale, la Sua statura umana, la luminosità della Sua toga, mai raggiunta dalla alcuna macchia che la potesse minimamente violare. Sarà Lui a chiarire prontamente la questione che lo vede coinvolto: aver ricevuto una ‘segnalazione’ in favore di una candidata agli esami di Avvocato. Estranei alla mafia la condotta, la candidata, il presunto tramite ed il commissario!
Perché di questo stiamo parlando. Una presunta segnalazione d’esami!
Noi, intanto, ci rifiutiamo di assistere, inermi, alla ‘decimazione’, alla aggressione dei singoli avvocati che diventa sistematica aggressione della funzione, perché sa di sangue in bocca il solo sospetto che un Collega come l’Avvocato Ioppoli, oggi, stia in qualche modo pagando, con questa vergognosa berlina, i costanti successi professionali ottenuti in questi anni.
A voi che, sordidamente, ne godete, ricordiamo sommessamente che quando avranno colpito tutti gli Avvocati, non ci sarà nessuno a difendervi!
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Camera Penale “Alfredo Cantàfora”
Il Consiglio Direttivo